30/12/16

Capodanno, la magica notte a cavallo tra un anno e l'altro: superstizioni, cibi e tradizioni

Proponiamo un articolo sul folklore e la tradizione del Capodanno scritto da Paola Rocco il cui romanzo, “La carezza del ragno,” sarà nelle librerie fra pochi giorni. Il pezzo è già apparso sulla rivista on-line “Vivavoce”.

Mangiar carote, lenticchie o piselli garantisce un'annata prospera, bere birra fresca fa ringiovanire: le usanze e le superstizioni legate alla notte di Capodanno, la magica notte a cavallo tra un anno e l'altro, sono davvero numerosissime.
Tutti sanno, comunque, che per propiziarsi la sorte è bene indossare qualcosa di nuovo e di rosso, con analogia al rinnovarsi del ciclo delle stagioni nel solstizio invernale. Capodanno segna infatti un momento di passaggio e rigenerazione a conclusione dei dodici mesi dell’anno e per questo motivo il suo numero simbolico è il 13, con allusione appunto al rinnovamento ma anche alla ripetizione del carosello stagionale.
Nei tarocchi, il numero tredici corrisponde all’Arcano della Morte, che vi è raffigurata tradizionalmente in mantello nero, falce e scheletro: ogni passaggio da un vecchio a un nuovo stato è infatti una sorta di ‘morte’.
Quest’associazione è tuttavia uno dei motivi per cui al 13 viene spesso attribuito un significato negativo (oltre al fatto che all’Ultima Cena parteciparono tredici convitati, i dodici Apostoli e il Cristo), benché la radice profonda della negatività che circonda questo numero risieda nel fatto che “il 13 è uno dei numeri che va oltre ogni sistema chiuso, tant’è vero che nelle fiabe nessuno può aprire impunemente la tredicesima porta” (A. Cattabiani, ‘Lunario’).
Un discorso a parte vale per gli inglesi, per i quali il 13 è il numero del boia (ossia, ancora, della morte) in quanto in passato la paga di quest’ultimo ammontava a uno scellino e un penny, cioè appunto 13 pence.
Comunque tutto il periodo legato al solstizio d’inverno era considerato sacro nell’antica Roma e celebrato con le feste dei Saturnali (dal 17 al 24 dicembre), così dette in onore di Saturno, il dio dell’età dell’oro che presiedeva alla rinascita annuale del cosmo profondendo doni. Di qui anche l’uso di scambiarsi regali o ‘strenne’: il termine risale al latino Strenia, dea d’origine sabina apportatrice di fortuna e felicità.
In un boschetto sulla via Sacra a lei consacrato i Romani fin dall’antichità usavano coglier ramoscelli e piccoli arbusti da donare ad amici e parenti in questo periodo dell’anno, per buon augurio. Sembra che alla benefica dea Strenia si possa far risalire la figura della Befana, strega propizia che dispensa, anche lei, doni e fortuna.
Legato al solstizio invernale è poi uno degli arbusti simbolo del Natale, il vischio, che gli antichi Celti usavano raccogliere appunto nella sesta notte dopo il solstizio, detta ‘notte madre’, e appendere sulla soglia di casa per assicurarsi la felicità. Presso questo popolo il vischio, pianta semiparassita e sempreverde in genere ospitata da querce e meli selvatici, era considerato magico proprio perché non aveva radici, ma cresceva liberamente sugli alberi librandosi a mezz’aria. Lo coglievano i druidi, tagliandolo con un falcetto d’oro.
Oggi, in occasione del Natale - detto in passato ‘giorno del pane’ - praticamente ovunque si usa mangiar cibi a base di farina, che a seconda delle zone assumono nomi e aspetto diversi: c’è il pandolce di Genova, con uvetta, cedro candito e pinoli; il panpepato umbro, con miele, noci, mandorle, uva passa; la pinza veneta, con i frutti secchi, che si mangia la notte della Vigilia davanti al focolare, come il panforte di Siena; ha un profumo esotico il panvisco barese, di ascendenza turca, in cui il fior di farina si sposa con la densa polvere di Cipro e il vincotto d’uva moscata, carruba o fico.
Alcuni storici fanno risalire l’usanza di mangiar cibi a base di farina all’antica Roma. Qui, infatti, il 25 dicembre, come racconta Plinio il Vecchio, in occasione della festa del Natalis Solis Invicti - istituita per celebrare la rinascita del sole dopo il solstizio invernale - si confezionavano appunto delle frittelle sacre di farinata. I cristiani invece ricordano la frase del Cristo (“Io sono il Pane della Vita”) e il suo incarnarsi nella notte di Natale a Betlemme, in ebraico “casa del pane”, così detta forse perché circondata da campi di grano e destinata dunque a granaio.
Tra parentesi, fu proprio per contrastare il culto pagano del sole, fortemente diffuso a Roma, che la Chiesa decise di celebrare il Natale di Cristo nello stesso giorno del Sole Invitto, con l’intento di sostituire la propria festa a quella pagana, ricca di giochi e cerimonie che attiravano anche i cristiani. Il 25 dicembre è quindi una data convenzionale, che tra l’altro sembra contrastare storicamente con quanto afferma il Vangelo di Luca, secondo cui il Bambino sarebbe venuto al mondo nelle campagne di Betlemme e lì adorato dai pastori che vegliavano di notte guardando le greggi: “Siccome i pastori ebrei partivano per i pascoli all’inizio della primavera tornando in autunno, è evidente che il Cristo nacque tra la fine di marzo e il primo autunno: tant’è vero che fino al principio del IV secolo il Natale veniva festeggiato, secondo i luoghi, o il 28 marzo o il 18 aprile o il 29 maggio” (A. Cattabiani, ‘Lunario’). 


20/12/16

500 anni di Orlando Furioso: Le donne.

Cinquecento anni fa, alla corte degli Estensi di Ferrara, veniva pubblicato per la prima volta il più noto dei poemi cavallereschi della tradizione letteraria italiana: Orlando furioso.
Ludovico Ariosto volle continuare l’opera del Boiardo che aveva scritto l'Orlando innamorato e curò la prima edizione del suo poema con grande meticolosità, conscio che con l’avvento dei caratteri mobili l’Orlando furioso avrebbe valicato i confini della penisola.
La ricorrenza dei cinquecento anni della prima pubblicazione del poema cavalleresco è celebrata a Palazzo dei diamanti di Ferrara con una mostra imperdibile che avrebbe dovuto chiudersi l'8 gennaio 2017, ma che per fortuna è stata prorogata fino al 29.
Anche Il Ciliegio, nonostante lo scadere dell’anno, nel suo piccolo vuole celebrare l’Orlando furioso. Lo fa attraverso l’autrice Bianca Degli Espositi che inaugura oggi un approfondimento dell’opera più famosa di Ariosto. I suoi interventi saranno ospitati sul blog mensilmente.

Orlando furioso 500 anni

Cinquecento anni fa, Ludovico Ariosto pubblicava la prima stesura de l'Orlando furioso. Questo il primo verso:

Le donne, i cavallier, l'arme, gli amori,

dunque, se vogliamo addentrarci in questo meraviglioso poema, cominciamo da capo:

LE DONNE

Troviamo nella prima strofa la più importante, invocata perché doni l'ispirazione e la tranquillità necessarie alla creazione poetica. Non è una dea, o la solita musa, Ariosto non ne dice il nome, ma si riferisce ad Alessandra Benucci: sua moglie.
Grazie a lei può cominciare la storia, ed è una donna a condurne l'intreccio: Angelica, la più bella, tutti i paladini, cristiani e pagani, ne sono innamorati.
La poveretta, per almeno una ventina di canti, è vittima di un vero stalking di gruppo. Tutti i cavalieri la rincorrono, lei un po' fugge, un po' li prende in giro e un po' ne sfrutta la protezione. Qualcuno mira apertamente a coglierne la verginità Corrò la fresca e mattutina rosa, che, tardando, stagion perder potr ia (I 58), altri sono meno espliciti, ma ugualmente motivati.
Dietro a lei le strade si intrecciano, chi trova un elmo, chi perde l'armatura, chi salva donzelle, chi parte su un cavallo alato, chi si impegola nelle magie, tutti compiono audaci imprese, ma nessuno l'acchiappa. Così la storia ci tiene incantati, un'ottava dopo l'altra.
Finché, al XIX canto, Angelica incontra un Moro, d'oscura stirpe nato in Tolomitta, è bello, d'animo nobile e ferito, si chiama Medoro. Lei lo cura, lo sposa e se lo porta via.  Orlando impazzisce, gli altri pretendenti si danno pace, la narrazione continua.
Inoltre, per dar lustro alla corte in cui lavora, gli Este di Ferrara, Ariosto li fa discendere da Ruggiero, cavaliere eroico, e decisamente propenso a cacciarsi nei guai.
Va detto che è pagano, ma ne l'Orlando furioso vige la par condicio e questo è un problema facilmente superabile per una donna innamorata come Bradamante, la cristiana dall'armatura candida.
La bella guerriera, i biondi capelli raccolti nell'elmo, dovrebbe dare man forte a Carlo contro i Mori, invece rincorre Ruggiero lungo tutto il poema. Lo tira fuori da un castello incantato e dalle braccia sensuali della maga Alcina, lo contende a Marfisa, simpaticissima eroina pagana ben decisa a tenerselo stretto. Alla fine lui si converte, Bradamante lo sposa e gli Estensi hanno la loro nobilissima origine.
Infilate nei canti le donne di Ariosto sono molte. Quasi tutte belle, quasi tutte buone e tutte molto innamorate. Mai fino al punto da venire in furore e matte, sanno mettersi in salvo (dagli uomini e dai maghi), sfruttare abilmente le situazioni e raggiungere i loro obiettivi. Il poeta le guarda con ironia affettuosa, scrive che forse l'invidia, o il non saper degli scrittori, ascosi han loro debiti onori (XX 3).
Isabella, Fiordiligi, Olimpia c'è anche la vecchia rompiscatole Gabrina, vale la pena di conoscerle tutte.
Il libro porta benissimo i suoi cinquecento anni. Dunque cominciamo:
Le donne, i cavallier, l'arme, gli amori

Bianca Degli Espositi
Bianca Degli Esposti è nata nel 1952 ha conseguito la laurea in Filosofia a Bologna, ha insegnato per nove anni letteratura italiana nei licei internazionali in Francia e in Marocco e ha collaborato con l’Istituto di Cultura Italiano a Rabat. Ora è in pensione e vive a Mentone. Insieme ad Annamaria Zucconi forma il duo delle signore in giallo de Il Ciliegio. Hanno pubblicato L’appartamentode Place Garibaldì (2016); pubblicheranno nel 2017  il secondo romanzo L’immobiliare dei fratelli Morin.







05/12/16

La mappa e l'Ascari a Più libri più liberi

Giovedì 8 dicembre
Sala Corallo, ore 17,00
La mappa e l’Ascari
Incontro con l’autore
Andrea Fraschetti


La mappa e l'Ascari
ROMA – Sarà presentato a Più libri più liberi il romanzo La mappa e l’Ascari di Andrea Fraschetti, edito da Edizioni Il Ciliegio. L’incontro si svolgerà presso la Sala Corallo, giovedì 8 dicembre, alle 17,00.

Si tratta del terzo romanzo dello scrittore romano e segue Le lacrime di Odino e Il mistero della legione perduta. Una trilogia storico-thriller suggestiva e avventurosa.

Irene Fraschetti introdurrà l’incontro mentre Marco Lucchetti, giornalista e scrittore, approfondirà le note storiche che fanno da sfondo al romanzo. Previsto anche un reading di alcuni brani tratti da La mappa e l’Ascari. L’autore affronterà poi la genesi del romanzo e racconterà alcuni aneddoti riguardanti la stesura del libro. Alla fine sarà lasciata al pubblico la possibilità di rivolgere allo scrittore qualche domanda. La presentazione terminerà con i saluti e un veloce rinfresco.



Andrea Fraschetti
«La genesi di questo libro è curiosa. Tutto è nato da una sfida che il mio amico Marco Lucchetti mi ha lanciato, forse scherzando, forse no – spiega Andrea Fraschetti - Mi suggerì di riscrivere la storia dell’Arca Perduta. Risposi che Spielberg l’aveva già fatto, ma lui obiettò che quella del regista era una storia fantasy, con spiriti che uscivano dall’Arca per uccidere i nazisti. È stato così che ho iniziato a considerare di raccontare una storia più plausibile. Ho fatto delle ricerche e ho scoperto che alcune fonti riportano che l’Arca dell’Alleanza fu conservata, in gran segreto, in una chiesa copta in Etiopia. A parte le ovvie considerazioni su segretezza e veridicità dell’informazione, mi colpì la localizzazione. L’Etiopia attuale è l’antico regno di Saba. E qui la fantasia ha cominciato a galoppare: Salomone, Arca, Saba, Etiopia, guerre coloniali italiane. Mancava l’aggancio con l’era moderna e me l’ha dato Internet. Il colpo di scena finale, invece, un mattino alle quattro. Il resto è la storia del team, ormai collaudato, dei professori universitari che a vario titolo collaborano in una visione tecnologica dell’archeologia, professori che, nel tempo libero, si divertono a suonare in un gruppo rock.»