24/02/17

Costume e società: Il Carnevale a Roma tra Quattro e Settecento

Di Paola Rocco


Riportato agli antichi fasti da Paolo II, nel Quattrocento, il Carnevale romano costituì per secoli una delle attrazioni della Città Eterna, finendo coll'illanguidirsi e spegnersi davvero del tutto solo nell'Ottocento inoltrato: in coincidenza, cioè, col periodo buio della caduta della Repubblica romana e degli ultimi anni del potere temporale.
Era stato appunto Paolo II, che risiedeva nel Palazzo San Marco, accanto all'attuale Piazza Venezia, a dare a questa ricorrenza nuovo impulso, facendo sì che i festeggiamenti, le sfilate in maschera e le altre scherzose cerimonie si svolgessero nella scenografica e spaziosa via Lata, che in questo periodo prese il nome di Corso (che conserva tuttora).
Il Corso divenne da allora, e rimase fino a tutto il Settecento, il cuore di quest'appuntamento, che la popolazione attendeva con ansia e celebrava con sfrenata allegria, al punto da indurre un pontefice, Benedetto XIV, impensierito dalla licenziosità che s'impadroniva dei sudditi, a emanare un'enciclica morigerante sull'argomento.
A preoccupare il papa era soprattutto il fatto che, la sera del martedì grasso, clou del Carnevale, i romani proseguissero i festeggiamenti ben oltre lo scoccare della mezzanotte, ultimo termine consentito, sconfinando quindi nella Quaresima. A ciò si aggiungeva il fatto che in molti, il mattino dopo, si presentavano in Chiesa per l'obbligatoria funzione del mercoledì delle Ceneri direttamente dai balli e dalle feste appena conclusi, per poi trascinarsi a casa e trascorre il resto della giornata dormendo: un comportamento che non poteva non destare l'inquietudine delle autorità religiose.
Il Carnevale della Città Eterna, comunque, proseguì con imperturbata fastosità e allegria fino ai primi dell'Ottocento, quando, dopo la caduta della Repubblica romana, andò via via spegnendosi, malgrado gli sforzi per tenerlo in vita prodigati dalle stesse autorità, che tentavano d'indurre la popolazione a mascherarsi e a sfilare per il Corso allo scopo di dare alla città, tormentata e divisa dai moti rivoluzionari, una parvenza di normalità.
Nonostante questi tentativi, tuttavia, il Carnevale si trascinava sempre più stancamente, sopravvivendo a sé stesso, pallida ombra dell'antica gloria tanto che, nel 1876, circolò persino il suo epitaffio: "Di Roma il Carneval qui morto giace: dorma egli alfine e Roma lasci in pace".

La corsa dei barberi e la festa dei moccoletti

Uno degli spettacoli più attesi e amati dalla popolazione durante il Carnevale era la corsa dei barberi, cavallini di piccola taglia agghindati per l'occasione e lanciati in corsa sfrenata da piazza del Popolo a piazza Venezia, tra gli applausi e le scommesse della folla che assisteva dai balconi e ai lati del Corso.
C'erano poi le sfilate in maschera e i carri allegorici, che in genere s'ispiravano alle favole mitologiche o agli eventi politici, e all'allestimento dei quali partecipavano anche gli artisti dell'Accademia romana.
Infine, la sera del martedì grasso, la festa dei moccoletti salutava il Carnevale col suggestivo scintillio delle candele e delle lanterne che ciascuno portava con sé: il divertimento consisteva nel cercar di spegnere, di sorpresa, quelle degli altri, conservando accese le proprie.
Inutile dire che le autorità si sforzavano di disciplinare almeno in parte lo svolgimento della festa con una serie di regole, tuttavia spesso disattese: alle donne, ad esempio, era proibito mascherarsi, e altrettanto vietato era indossare travestimenti che “in qualunque modo rappresentino persone di religione”.
Vietatissimo, poi, era lanciare uova, arance e altri oggetti sulla folla, anche se i romani in genere persistevano nell'usanza di lanciarsi addosso un po' di tutto, compresi i caratteristici e pesanti confetti di gesso, talvolta con gravi conseguenze. In alcuni periodi, comunque, persino i divertimenti più innocui, come la tradizionale festa dei moccoletti del martedì grasso, attirarono l'attenzione delle autorità, che intervennero con restrizioni e divieti. La risposta religiosa al Carnevale, comunque, si concentrava nella cerimonia delle Quarantore, che si svolgeva gli ultimi giorni di festa in molte Chiese romane (una delle più celebri aveva luogo in quella del Gesù), con tanto di spettacoli sacri, musiche e allestimenti scenografici, destinati a distogliere la popolazione dai festeggiamenti profani.




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