07/09/19

Nel 2013 Il Ciliegio pubblica il libro “Come ai tempi di Erode”. Le analogie, sei anni dopo, tra ciò che Salvatore Di Grazia ha raccontato nel suo libro e l’inchiesta di Reggio Emilia “Angeli e Demoni”.


L’estate 2019 che sta inesorabilmente finendo, non sarà ricordata solo per la rocambolesca crisi di governo che ha capeggiato in tutte le prime pagine dei nostri giornali, ma anche per i fatti di Bibbiano, comune entrato nell'inchiesta “Angeli e Demoni” della Procura di Reggio Emilia. Un’inchiesta sconvolgente, che sta portando alla luce un sistema di affidi illeciti di minori da parte di persone dalle quali ci si aspetterebbe ben altro. Non è ovviamente il caso di generalizzare, una o più mele “corrotte” non sono sufficienti per demolire il lavoro e la professionalità di tanti operatori sociali che lavorano a stretto contatto con famiglie e bambini e che si prodigano per dare loro la giusta assistenza. Tuttavia, quando Anna Colombo, una delle nostre editor più capaci, si è ricordata del lavoro che aveva svolto nel 2013 insieme all'avvocato Salvatore Di Grazia, dando alla luce per le Edizioni Il Ciliegio il libro Come ai tempi di Erode - Le prassi anomale della giustizia minorile, non ho resistito a chiederle un approfondimento; approfondimento che è stata lieta di inviarmi dopo essersi nuovamente confrontata con l’avvocato Di Grazia. Nel 2013, in tempi ancora non sospetti, l’autore di Come ai tempi di Erode aveva già chiaro come certe anomalie giudiziarie potevano essere distanti dalla realtà dei fatti.
Vi proponiamo, dunque, questo contributo. Buona lettura.

i.b.

di
Anna Colombo

Ai miei occhi, il ruolo dell’assistente sociale ha sempre avuto, fin da quando ero ragazzina, un valore positivo.
Nella mia famiglia e nella cerchia degli amici, infatti, c’erano allora e ci sono ancora oggi persone occupate con passione e onestà in questo settore della pubblica amministrazione.
Sono incappata per la prima volta nella rappresentazione dell’assistente sociale come una persona malevola e umorale, vedendo, tanto tempo fa, un film con Francesco Nuti e Ornella Muti che all'epoca aveva riscosso un certo successo: era piena di pregiudizi, pronta a togliere senza troppi scrupoli un bambino al padre e ovviamente “acida” e donna, se ci fosse bisogno di precisarlo.
Uno stereotipo, avevo riflettuto, una figura molto ben interpretata e che funzionava perfettamente ai fini dello svolgimento della trama.
Nella mia mente quella stessa figura si è riaffacciata molti anni dopo, quando ho avuto occasione di collaborare con l’avvocato Salvatore Di Grazia alla revisione del suo libro Come ai tempi di Erode - Le prassi anomale della giustizia minorile: un testo che mi aveva molto colpita perché, chiaramente, non mi trovavo più davanti alla rappresentazione di stereotipi, bensì in presenza del racconto dettagliato e circostanziato di un caso di allontanamento di minori dalla famiglia, un caso pieno di elementi controversi e ambigui.
Così, in questi giorni, all'esplodere delle notizie su Bibbiano, mi è tornato alla memoria, suscitando in me ancora una volta il desiderio di capire meglio e fare chiarezza, quel libro pubblicato da Edizioni il Ciliegio nel 2013, in tempi decisamente non sospetti, lontano da qualsiasi volontà di strumentalizzare un doloroso episodio di cronaca.
Ho pensato allora di chiedere all'avvocato Di Grazia di aiutarmi a comprendere se esistono e quali sono i punti di contatto tra le vicende attuali e quanto da lui raccontato nel libro. Riporto la sua riflessione, a beneficio di tutti i lettori che si pongono delle domande su questi fatti, caratterizzati da una complessità che il clamore mediatico tende spesso più ad appiattire che a dipanare.

Come ai tempi di Erode.
Le prassi anomale della giustizia minorile 
«La vicenda descritta nel libro Come ai tempi di Erode - Le prassi anomale della giustizia minorile è, come quelle della Val d’Enza, il paradigma delle deviazioni e delle anomalie della giustizia minorile nella gestione dei casi di sottrazione di bambini alla loro famiglia. Sono casi che, spacciati come esempi di buona amministrazione, evidenziano un problema di mancata tutela dei diritti umani. 
Le analogie tra il caso della mamma alla quale furono sottratti in una mattina d’autunno tre bambini e quelli delle mamme di Bibbiano è impressionante: i provvedimenti del giudice arrivano come un fulmine a ciel sereno in qualsiasi momento sulla vita delle persone, senza che i diretti interessati sappiano con precisione le ragioni e i presupposti di quel che sta loro capitando. Nessuna garanzia processuale, dunque, nemmeno la possibilità di ricorrere a un giudice superiore contro provvedimenti provvisori che durano anni. 
Il libro racconta una storia vera come quelle della Val d’Enza: la vicenda di una mamma finita nel tritacarne di un’indagine degna della caccia alle streghe, solo perché una giovane maestra aveva segnalato un’ecchimosi sulla gamba di una delle figlie.
Le colleghe più anziane, sentite dall'assistente sociale, relazionano in termini positivi riguardo alla condotta della madre, ma ciò non basta a fermare l’infernale meccanismo in movimento.
Solo dopo la sottrazione dei figli, la madre scopre, leggendo il decreto, che i tre minori (rispettivamente di undici, nove e sette anni) le sono stati tolti per ordine di un giudice e sono stati internati in una struttura segreta. Scopre anche che i servizi sociali, in aggiunta all'accusa fondata sull'ecchimosi, la incolpano di non essere in grado di fare bene la madre: è “disaffettiva e poco adeguata, i minori portano i segni della deprivazione affettiva”. Le assistenti sociali le annunciano che la sua audizione è già stata fissata per il 19 maggio dell’anno successivo, quindi, molti mesi dopo.»

Concludo proseguendo con le parole dell’avvocato Di Grazia, e con il suo stesso auspicio finale:

«Come ai tempi di Erode è come un grimaldello per entrare nel sistema di giustizia minorile e spiegare tutto quello che non funziona. Per esempio, i principi di civiltà giuridica, tra quali il diritto di difesa, non sono rispettati nonostante le innovazioni legislative del giusto processo.
Il testo contiene una summa degli abusi procedurali, commessi dai giudici in simbiosi con gli operatori sociali, che si ripetono continuamente nello svolgimento della vicenda.
Si tratta di uno strumento prezioso, scritto profeticamente in epoca non sospetta, immune dal rischio di strumentalizzare e da quello di essere strumentalizzato. Può aiutare a capire quanto di profondamente sbagliato sussiste nella nostra giustizia minorile, ma è anche una sorta di manuale di comportamento per chi abbia a che fare con i servizi sociali e i giudici del settore.
L’auspicio era che i politici di ogni colore ne prendessero coscienza: forse è la volta buona.»


Anna Colombo vive e lavora in provincia di Como.
Nel 2000, conseguita la laurea in Lettere moderne presso l’Università degli Studi di Milano con una tesi sulla simulazione del parlato nella commedia dell’arte (della quale un estratto è stato pubblicato su ACME, Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia), lavora per un breve periodo presso la Big Chief di Gallarate (Varese), una piccola casa editrice di testi didattici multimediali per bambini.
Nasce qui la sua passione per l’editoria dedicata all'infanzia, che la spinge a partecipare tra il 2002 e il 2006 ad alcuni concorsi letterari ottenendo premi e riconoscimenti, con pubblicazione dei racconti premiati nelle relative antologie: Un Prato di Fiabe (segnalazione nel 2002 e primo premio nel 2003), Castel Ritaldi, paese delle fiabe (secondo premio nel 2003), Una favola per la pace (segnalazione nel 2006).
A questo interesse affianca quello per il mondo del no profit e del volontariato, e la frequentazione di corsi post laurea dedicati alla scrittura.
Lavora intanto come assistente di redazione presso La Stampa, IlSole24ORE, Ediblu, nonché come autrice e collaboratrice esterna per Xenia Edizioni, con cui pubblica Gli stili di vita sostenibili (2005) e Il manuale del consumatore consapevole (2011).
Dopo aver frequentato la Scuola di Editoria Piamarta di Milano, ha collaborato come correttrice di bozze con Euro Publishing e Foto Edizioni e, dal 2009, lavora alla revisione di testi per Edizioni il Ciliegio, con cui ha anche pubblicato, nel 2015, il libro per ragazzi Johnny Porcospino.

Salvatore Di Grazia, nato a Capodistria nel 1945, vive a Rimini, dove esercita la professione di avvocato matrimonialista in utroque, nei tribunali civili ed ecclesiastici. Ha svolto attività didattica e di ricerca in Diritto Canonico ed Ecclesiastico presso varie Università, per ultima quella di Bologna. Ha prodotto diverse pubblicazioni di argomento giuridico.


1 commento:

  1. Riceviamo questo commento da una nostra autrice che è assistente sociale e che invita, giustamente, a non cadere nelle semplificazioni e nelle generalizzazioni.

    […] Da quando la cronaca ha portato all’attenzione di tutti questi presunti reati ai danni di minori e famiglie, non riesco a non notare la differenza rispetto ad analoghi casi di cronaca. […] Ora invece, a seguito di un fatto di cronaca che vede imputati un paio di assistenti sociali e, in totale, una decina di persone, i giornali, i social, le tv parlano di un sistema che agisce per portare via bambini alle proprie famiglie, accusano l’intera categoria degli assistenti sociali e dei servizi per i quali operano, parlano di bambini “sottratti”, “internati” poi “restituiti”, parlano di affido confondendolo con l’adozione e viceversa, parlano di complotti e giro di denaro…
    Tutto questo colpisce non solo l’intera categoria degli assistenti sociali (44.000 professionisti) ma, soprattutto, quei soggetti più fragili che nel Servizio Sociale potrebbero trovare un aiuto e un sostegno […]. Minare la fiducia nel Servizio Sociale, negli operatori, nelle reti, nelle forme di aiuto significa colpire le persone più deboli, che faticheranno ancora di più a chiedere aiuto e non si fideranno più di chi può darglielo.
    L’assistente sociale lavora per e con le famiglie e i bambini. È indubbio che possa commettere errori, nessuno ne è esente. Questo non significa però che sia parte di un sistema criminale che gestisce allontanamenti di minori a scopo di lucro.
    L’abuso e il maltrattamento non vengono riportati sui documenti di identità, né scritti in fronte. Un bambino maltrattato non corre fuori casa urlando e cercando aiuto, ma anzi, spesso minimizza, protegge il maltrattante, copre i lividi, evita di parlarne. Riuscire a cogliere i segnali e i segni di un maltrattamento, di una violenza, di incuria e negligenza non è facile. Riuscire a leggere ciò che non è scritto in maniera esplicita, a vedere ciò che è velato […]
    In merito all’articolo del vostro blog vorrei precisare che i provvedimenti del giudice di norma non “arrivano come un fulmine a ciel sereno in qualsiasi momento sulla vita delle persone”. Non nego che possa essere capitato nel caso di cui si racconta nel libro citato, ma non si può generalizzare. Il decreto in genere arriva dopo tanti tentativi di intervento, dopo un lungo lavoro svolto dall’assistente sociale e dalle famiglie, che vengono informate del ricorso all’Autorità Giudiziaria e del successivo arrivo di un decreto, che viene letto alle famiglie, se ne parla, si delineano insieme gli interventi da attivare per rispondere alle disposizioni e i genitori vengono ascoltati non solo dagli operatori ma anche in udienza dal giudice minorile.
    Solo nei casi di presunti reati quale l’abuso sessuale o gravi violenze, la segnalazione non viene condivisa con i genitori (se si sospetta siano gli autori delle violenze) e il decreto arriva per loro inaspettatamente.
    Facile accusare gli operatori di agire male quando la situazione è più chiara, ma quando ci sono sospetti, quando ci sono tanti elementi che fanno pensare che un bambino stia vivendo violenze, sia costretto a rapporti sessuali con adulti, sia molestato… non è facile decidere di lasciarlo in quella casa […]
    Mi auguro che il caso di Bibbiano (ricordando però che al momento le indagini sono in corso e non sappiamo se al termine le accuse verranno confermate […]) serva per aprire un dialogo costruttivo e finalizzato al miglioramento dei Servizi Sociali e del sistema giudiziario minorile.
    Rosella Quattrocchi

    Rosella Quattrocchi, modenese classe 1972, è un'assistente sociale. Dal suo soggetto di una serie TV, promosso da una nota casa di produzione, è nato il romanzo Il cacciatore di orchi pubblicato da Edizioni Il Ciliegio nel febbraio del 2019.
    Il romanzo racconta la storia di un bambino che ha perso la fiducia negli adulti e dell’impegno di una donna a fargliela ritrovare.

    RispondiElimina