Di Paola Rocco
Riportato
agli antichi fasti da Paolo II, nel Quattrocento, il Carnevale romano costituì
per secoli una delle attrazioni della Città Eterna, finendo coll'illanguidirsi
e spegnersi davvero del tutto solo nell'Ottocento inoltrato: in coincidenza,
cioè, col periodo buio della caduta della Repubblica romana e degli ultimi anni
del potere temporale.
Era
stato appunto Paolo II, che risiedeva nel Palazzo San Marco, accanto
all'attuale Piazza Venezia, a dare a questa ricorrenza nuovo impulso, facendo
sì che i festeggiamenti, le sfilate in maschera e le altre scherzose cerimonie
si svolgessero nella scenografica e spaziosa via Lata, che in questo periodo
prese il nome di Corso (che conserva tuttora).
Il
Corso divenne da allora, e rimase fino a tutto il Settecento, il cuore di
quest'appuntamento, che la popolazione attendeva con ansia e celebrava con
sfrenata allegria, al punto da indurre un pontefice, Benedetto XIV,
impensierito dalla licenziosità che s'impadroniva dei sudditi, a emanare
un'enciclica morigerante sull'argomento.
A
preoccupare il papa era soprattutto il fatto che, la sera del martedì grasso,
clou del Carnevale, i romani proseguissero i festeggiamenti ben oltre lo
scoccare della mezzanotte, ultimo termine consentito, sconfinando quindi nella
Quaresima. A ciò si aggiungeva il fatto che in molti, il mattino dopo, si
presentavano in Chiesa per l'obbligatoria funzione del mercoledì delle Ceneri
direttamente dai balli e dalle feste appena conclusi, per poi trascinarsi a
casa e trascorre il resto della giornata dormendo: un comportamento che non
poteva non destare l'inquietudine delle autorità religiose.
Il
Carnevale della Città Eterna, comunque, proseguì con imperturbata fastosità e
allegria fino ai primi dell'Ottocento, quando, dopo la caduta della Repubblica
romana, andò via via spegnendosi, malgrado gli sforzi per tenerlo in vita
prodigati dalle stesse autorità, che tentavano d'indurre la popolazione a
mascherarsi e a sfilare per il Corso allo scopo di dare alla città, tormentata
e divisa dai moti rivoluzionari, una parvenza di normalità.
Nonostante
questi tentativi, tuttavia, il Carnevale si trascinava sempre più stancamente,
sopravvivendo a sé stesso, pallida ombra dell'antica gloria tanto che, nel
1876, circolò persino il suo epitaffio: "Di Roma il Carneval qui morto
giace: dorma egli alfine e Roma lasci in pace".
La corsa dei barberi e la festa dei moccoletti
Uno
degli spettacoli più attesi e amati dalla popolazione durante il Carnevale era
la corsa dei barberi, cavallini di piccola taglia agghindati per l'occasione e
lanciati in corsa sfrenata da piazza del Popolo a piazza Venezia, tra gli
applausi e le scommesse della folla che assisteva dai balconi e ai lati del
Corso.
C'erano
poi le sfilate in maschera e i carri allegorici, che in genere s'ispiravano
alle favole mitologiche o agli eventi politici, e all'allestimento dei quali
partecipavano anche gli artisti dell'Accademia romana.
Infine,
la sera del martedì grasso, la festa dei moccoletti salutava il Carnevale col
suggestivo scintillio delle candele e delle lanterne che ciascuno portava con
sé: il divertimento consisteva nel cercar di spegnere, di sorpresa, quelle
degli altri, conservando accese le proprie.
Inutile
dire che le autorità si sforzavano di disciplinare almeno in parte lo
svolgimento della festa con una serie di regole, tuttavia spesso disattese:
alle donne, ad esempio, era proibito mascherarsi, e altrettanto vietato era
indossare travestimenti che “in qualunque modo rappresentino persone di
religione”.
Vietatissimo,
poi, era lanciare uova, arance e altri oggetti sulla folla, anche se i romani
in genere persistevano nell'usanza di lanciarsi addosso un po' di tutto,
compresi i caratteristici e pesanti confetti di gesso, talvolta con gravi
conseguenze. In alcuni periodi, comunque, persino i divertimenti più innocui,
come la tradizionale festa dei moccoletti del martedì grasso, attirarono l'attenzione
delle autorità, che intervennero con restrizioni e divieti. La risposta
religiosa al Carnevale, comunque, si concentrava nella cerimonia delle
Quarantore, che si svolgeva gli ultimi giorni di festa in molte Chiese romane
(una delle più celebri aveva luogo in quella del Gesù), con tanto di spettacoli
sacri, musiche e allestimenti scenografici, destinati a distogliere la
popolazione dai festeggiamenti profani.