Il cadavere di un impiccato viene rinvenuto nel lavatoio di un paesino della Brianza alla vigilia di Natale e i resti di un altro uomo vengono ritrovati il giorno dopo in una radura. L’indagine balistica e medica suffragano l’ipotesi di un legame fra le due morti. Il maresciallo Tulipano si ritroverà a districarsi fra lettere anonime, tatuaggi, casi di violenza che si dipanano fino al mondo parallelo del popolo nomade dei rom, regolato da regole arcaiche e unito dal culto di Sarah la nera.
Ecco cosa ci ha raccontato l'autore del romanzo Giovanni Corti:
“Inquieto giace il capo di chi indossa la corona”: Shakespeare lo fa dire al Re Enrico IV d'Inghilterra quando nella seconda parte dell'omonima opera il sovrano non riesce a prendere sonno. E ne è pienamente consapevole il protagonista del mio nuovo romanzo “Sarah la nera”, fresco di stampa (febbraio 2025) nella collana “Noir e Gialli” di “Edizioni Il Ciliegio”.
L’ispirazione per questo romanzo mi è venuta riguardando un vecchio album di fotografie di una vacanza d’estate in Camargue, nel sud della Francia. La musica dei Gipsy Kings e “Khorakhané” (a forza di essere vento) di Fabrizio De André in sottofondo hanno fatto il resto. Ho scritto tutto il libro ascoltando le loro canzoni.
Le fotografie erano un po’ ingiallite, ma i miei ricordi emergevano nitidi. Mi tornavano in mente i colori, i profumi e i suoni. La Camargue è una regione dai confini fluidi. Da secoli gli uomini cercano di domarla con argini e coltivazioni, ma non sarà un caso se i suoi animali-simbolo, il cavallo Camargue e il toro, vengono allevati in branchi lasciati allo stato brado. È una terra di contaminazioni: acqua dolce che si mischia a quella salata.
Le piante tipiche sono le tamerici, la salicornia e la lavanda di mare, ma a ridosso degli stagni di acqua salata proliferano anche salici e canneti, rifugio ideale per i tanti uccelli che popolano o transitano da queste parti, tra cui il fenicottero rosa, che qui tornano ogni anno a celebrare il ciclo della natura. In questo trionfo, la cittadina di Saintes-Maries-de-la-Mer, cuore della regione, ospita nella chiesa di Notre-Dame-de-la-Mer le statue di Sarah e delle due Marie, Salomé e Jacobé, che dopo la morte di Cristo, insieme a Maria Maddalena, approdarono alle coste francesi sospinte dalla provvidenza.
Nelle tradizioni più eretiche Sarah sarebbe la figlia di Gesù e della Maddalena; nella leggenda cristiana era un’ancella delle Marie in fuga dalla Palestina dopo la crocifissione di Gesù; nella leggenda gitana Kalì, la nera, era una nobile rom che salvò il suo popolo dal naufragio nei pressi di Aigues-Mortes. In questo caos di storie e leggende, l’unico dato certo resta la devozione del popolo Romaní per Sarah, santa non santa.
Nei giorni di festa, che cadono il 24 e 25 maggio di ogni anno, le statue di Sarah e delle due Marie vengono fatte uscire dalla chiesa per un abbraccio collettivo, una sorta di battesimo di massa in mare che rievoca le antiche vicende e purifica. Una processione colorata e festante scorta le vestigia fino alla spiaggia, tra ali di gardien della Camargue sui cavalli bianchi e arlesienne nei loro abiti eleganti.
Gitani, turisti, fotografi, vecchi e bambini, cavalli, cani, tutti in acqua per ricevere la benedizione. Il movimento della folla è corale e inarrestabile. Le chitarre gitane risuonano insieme agli applausi e alle grida «Vive les Saintes Maries, Vive Sainte Sarah». La bellezza selvaggia della Camargue e lo spirito di Sarah aleggiano sull’intero romanzo uniti alla mia curiosità di conoscere meglio la cultura del popolo Rom, nei confronti del quale spesso si nutrono sentimenti negativi.
È la mattina della vigilia di Natale e, a una trave del lavatoio di Ravellino, un paesino situato sul fronte lacustre del Monte di Brianza, viene rinvenuto impiccato Matteo Trevisan, uno dei carabinieri della locale stazione dei carabinieri. È una scena macabra e surreale, soprattutto perché accanto è allestito un artistico presepe, meta di tanti visitatori durante le festività. A causa di una copiosa nevicata, solo il giorno successivo, in una vicina radura, nei pressi della “marcita” di Ello, ricoperto dalla neve, viene ritrovato un altro corpo morto, quello di uno sconosciuto, un giostraio, ucciso con un colpo di pistola alla testa.
Sarà un Natale decisamente travagliato per il maresciallo dei Carabinieri Mauro Tulipano, già prostrato nell’intimo per la morte di un suo commilitone. L’indagine balistica e medica suffragano da subito l’ipotesi di un legame stretto fra le due morti, ma non chiariscono l’identità dell’assassino. Lentamente emerge un mondo parallelo, quello del popolo nomade, gente da sempre soggetta a pregiudizi e stereotipi negativi. È un mondo regolato da leggi arcaiche e “non v’è nulla di più difficile da realizzare, né di più incerto esito, né più pericoloso da gestire, che iniziare un nuovo ordine di cose”. Lo scriveva Nicolò Macchiavelli nel saggio “Il Principe”.
Per chi nasce zingaro, passare dalla condizione nomade a quella stanziale è una scelta, divenire “gagè”- così vengono chiamati i non zingari - è uno stato pressoché irrealizzabile, perché il cambiamento necessario non è solo esteriore, ma soprattutto interiore. E proprio il re degli zingari, il custode delle tradizioni, un bel giorno trasgredisce, tradisce la legge del suo popolo, decide che sia proprio uno dei suoi due figli gemelli, ad avere questa opportunità.
Una scelta che, condizionerà tragicamente sia la sua vita sia il destino dei suoi figli e che, a posteriori, si rivelerà sbagliata e, purtroppo, irrimediabile. Il maresciallo arriverà faticosamente alla soluzione del caso, che si complica ulteriormente per il rapporto sentimentale sbocciato con Anita, moglie di Matteo, indagata per la morte del marito, quando si scoprirà che il carabiniere non si è impiccato volontariamente, ma è stato ucciso.
Tulipano dovrà districarsi fra lettere anonime, strani tatuaggi, situazioni famigliari di quotidiana, gratuita, violenza e un passato da ricostruire che conduce al drammatico, nonché inconfessabile segreto del re. Vorrei spendere una parola per la copertina di “Sarah la nera”. È un particolare del dipinto “Zingara distesa, periferia”(1975) del maestro Paolo Cattaneo (1918–1990).
Ho fortemente voluto quell’immagine e ringrazio “Il Ciliegio” per aver accettato la mia proposta, nonché la figlia del pittore Enrica che ha concesso di riprodurla. Nell’espressione di quel volto si può cogliere in pieno la malinconia della povera gente, degli emarginati dalla società, che nega qualsiasi spazio a chi è diverso, ma c’è anche il senso di attesa e la speranza di un mondo migliore.
C’è Sarah la nera. È il mio personale tributo all’arte di Paolo Cattaneo, pittore in Oggiono. “Sarah la nera” è il nono libro pubblicato con ”Edizioni Il Ciliegio”, la casa editrice con la quale ho avviato, nel 2015, la mia avventura di scrittore con il libro “Azzurro Marco”. In seguito sono stati pubblicati: “A bello peste et fame libera nos Domine”, “Il re che verrà”, “4+1=5”, “Occhioperocchio”, “La corona della cittadina Eufemia”, “Vacche olandesi” e “Il tribunale degli assenti”.
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Giovanni Corti |
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