Da sempre il "viaggio" è stato interpretato come metafora della vita. Molti filosofi e scrittori si sono interrogati sul significato intimo, e non solo antropologico e sociologico, che il "viaggio" ha avuto e continua ad avere nei popoli che abitano la Terra. Danilo Di Gangi, che di chilometri sotto le suole delle scarpe ne ha calpestati tanti, prova a fornirci quella che è la sua visione di scrittore affamato del mondo.
Da
sempre si disserta sul senso del viaggio. Che cosa è che muove un viaggiatore
ad abbandonare il proprio luogo di appartenenza e avventurarsi verso “l’altrove”?
Irrequietezza, voglia di libertà, ricerca di solitudine, intelligenza emotiva,
bellezza dei paesaggi, semplice curiosità, creazione di nuove identità?
All’inizio
di un viaggio spesso c’è un sogno, un qualcosa che stimola la fantasia: un
nome, una strada, una montagna, un mare, un deserto, una storia. Tuttavia,
viaggiare significa anche adattarsi all’ambiente, interagire con esso,
ritrovarsi vulnerabili e insicuri, nudi. E proprio in virtù di questa nudità si
è pronti a cementificare lungo il percorso rapporti di reciprocità con ciò che
ci circonda, esseri umani e non. Durante il viaggio le qualità migliori dell’individuo
riemergono prepotentemente: generosità, grandezza d’animo, lealtà, onestà.
Parimenti si sviluppano le capacità decisionali e di autonomia, basate sull’efficacia
delle proprie azioni e delle proprie scelte. Viaggiare significa sentirsi
stranieri ovunque ma uguali agli altri: discendenze e cariche sociali sono
termini che non appartengono al vocabolario di un nomade.
Il
senso del viaggio inizia perciò dall’approccio al viaggio stesso, dalla
consapevolezza che il disagio sarà un compagno di peregrinazioni, che fatica
fisica e fatica mentale procederanno a braccetto e tanto più saranno uniti
tanto più grande sarà la gioia dello stato d’animo che si raggiungerà.
Il
meglio non è quindi dettato dalla ricerca“dell’altrove” ma dal raggiungimento
di uno stato d’animo in grado di sublimare se stesso. L’obiettivo dello
scrittore sarà poi quello di essere in grado di far ri-vivere al lettore lo
stesso “stato d’animo” attraverso le pagine del libro.
La natura svolge un ruolo
fondamentale in tutto ciò poiché luogo per eccellenza di stimoli, emozioni e
sensazioni che rappresentano un modo di essere dimenticato dall’uomo. La natura è maestra di vita ed espressione
del divino. La natura ci mostra cosa sono evoluzione e mutamento, ci ricorda,
attraverso la sua imprevedibile potenza, che non tutto è dominabile da parte
nostra. Bene lo sapevano le antiche
popolazioni nomadi
che la assecondavano e convivevano con essa. Purtroppo, la nostra inesausta
sete di dominio ci ha portato a tradirla e a tradire noi stessi.
Che significa, oggi, il nomadismo?
Proprio quando l’extracomunitario viene a inurbarsi per perdere tra di noi la
sua identità, esso significa ritrovare la storia antica dell’uomo. Storia di
movimenti, di migrazioni; storia di conflittualità con le popolazioni
stanziali, di rinuncia al superfluo, di costrizione all’indispensabile. Il
nomade ha perfino divinità non rappresentabili perché non trasportabili; decora
il proprio corpo perché non porta maschere, che pesano e ingombrano; ha una
frugalità assoluta perché anche le scelte gastronomiche gli sono impraticabili;
ha un rapporto privilegiato con gli animali e l’ambiente perché le tracce, gli
odori, i segni gli sono condizioni di vita; conosce le stelle e il vento perché
ogni movimento ne è condizionato. Ritrovare questo stato d’animo significa
riconnettersi con l’energia che da vita all’universo tutto, ritrovare il
giusto senso delle proporzioni e dei propri limiti, ricollocarsi
nell’immensità del tutto, far sì che il viaggio diventi mediazione tra Velato
e Rivelato.
Ecco che il senso del viaggio
diviene l’esperienza del continuum infinito presente, il tempo in funzione dello spazio, del
procedere, del presente, passo dopo passo. La percezione ordinaria del tempo e
dello spazio si annullano e si compenetrano: il viaggio diventa un “volo
sciamanico”, al di là della sua misurazione e quantificazione.
Ogni percorso, ogni tragitto può
farsi una storia, un racconto, una riconquista di una scoperta del sé più
profondo ma, soprattutto, ogni viaggio è un universo di emozioni circondato da
spazi e da silenzio. Da ciò
nasce una predisposizione alla trasformazione e ogni peregrinazione diviene
motivo per non essere noi a voler cambiare il mondo ma il mondo a cambiare noi.
Viaggiare
e “viaggiare attraverso i miei libri” è un invito a rendersi disponibili per
questa trasformazione, per conoscere la storia e la geografia di luoghi
lontani, ricchi di cultura, tradizioni e insegnamenti, per ritrovare lo stupore
del cammino all’interno di una natura ignota e miracolosa, per osservare,
respirare e assorbire l’incanto del
mondo e, leggendo e vivendo il viaggio, i pensieri di ognuno serviranno a far
girare la Grande Ruota della Vita.
Danilo Di Gangi
L'ultimo libro di Danilo Di Gangi pubblicato con Edizioni il Ciliegio si intitola Nepal fra terra e cielo.
Danilo Di Gangi
è nato a Cuneo, ove risiede, nel 1963. Scrittore, viaggiatore e insegnante, ha
pubblicato per le edizioni L’Arciere: Cieli
d’infinito. Mongolia, terra senza
tempo (2003); Il Gioiello di neve.
Kailash, l’essenza del Tibet (2004); Fra
barbari e dei. La vera politica cinese in
Tibet (2008). Per le edizioni Campanotto: Siberia (in)contaminata (2010). Per le edizioni Il Ciliegio: Viaggio al limitare del tempo. Un racconto esoterico (2010); Lungo come l’Indo (2012). Per le
edizioni Pietre Vive: Forse spazi
(2013), raccolta di poesie e immagini.
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