19/12/24

La magia del Natale è in una calda copertina...

 


Cos’è la magia di Natale?

C’è tanta magia nell’atmosfera natalizia. Gli addobbi, le luci, l’abete decorato, le musiche natalizie, i preparativi per i doni destinati alle persone che amiamo, ritrovarsi tutti insieme in famiglia… Nel libro “La coperta di Natale” troviamo tutti questi ingredienti e anche qualcosa in più… L’autrice Giorgia Cozza lo racconta così:

C’era una volta un cagnolino che si chiamava Toby e aveva una coperta, una copertina calda che gli era molto cara. Era la sua coperta sin da quando era un cucciolo. La sera della vigilia di Natale, Toby viene a sapere che nel bosco ci sono una gatta e sei micini senza casa che hanno tanto freddo.

Toby è rimasto molto colpito da questa notizia, pensa ai gattini in difficoltà e non riesce ad addormentarsi. Così, pensa e pensa, gli viene un’idea. Decide di andare nel bosco e portargli la sua coperta. Sì, proprio quella coperta a cui è tanto affezionato.

 Esce di casa zitto zitto e si incammina, mentre dal cielo scendono i primi fiocchi di neve. Lungo il percorso Toby incontra altri animali che hanno bisogno del suo aiuto e ogni volta, quando sente qualcuno piangere o lamentarsi, non ha esitazioni: si ferma, va a vedere cosa succede e prova a dare una mano.

Toby avrebbe già la sua missione, sta portando la copertina a mamma gatta, ma non volta le spalle a nessuno, non è da lui far finta di non sentire e tirar dritto per la sua strada quando qualcuno ha un problema.

Ma c’è un’altra cosa che Toby non fa mai. Toby non si scoraggia, non si dà per vinto di fronte alle difficoltà. Lo vediamo quando lungo il cammino, per aiutare lo scoiattolo, la cicala e la volpe, la sua coperta, che era già piccola, diventa ancora più piccola, si rovina e infine si inzuppa. 

In diversi momenti della storia Toby potrebbe decidere di lasciar perdere, voltarsi e tornarsene a casa, al calduccio. In fondo, ormai la coperta è rovinata! Eppure, nonostante i momenti di sconforto, il cagnolino cerca di pensare positivo, si dice che una coperta piccola e bagnata sarà pur sempre meglio di nulla e continua ad avanzare nella neve sempre più alta. 

E alla fine, quando un campanile in lontananza annuncia la mezzanotte di Natale, scopriremo che Toby ha fatto proprio bene a non rinunciare, perché non appena raggiunge mamma gatta e i suoi micini, succede una cosa molto speciale!

In questo cammino nel bosco innevato, il piccolo Toby regala tanti insegnamenti ai lettori piccoli e grandi, ma soprattutto ci svela un segreto molto importante. Il segreto della magia di Natale!

Perché alla fine che cos’è questa magia se non la decisione di essere gentili e generosi?”


Qui il sito della nostra autrice Giorgia Cozza



 

09/12/24

La collana StART è in India presso la The Auroville Library

AUROVILLE: UNA CITTÀ SENZA GOVERNO, RELIGIONE E DENARO. 

Articolo a cura di Lucia Cannone

Entrando sul sito web di Auroville si legge: «Auroville vuole essere una città universale in cui donne e uomini di tutti i paesi siano in grado di vivere in pace ed in crescente armonia, al di là di tutte le credenze religiose, di tutte le idee politiche e di tutte le nazionalità: lo scopo di Auroville è quello di realizzare l’unità umana». Auroville è stata fondata nel 1968 dalla francese Mirra Alfassa, nota con il nome di Mère ("la Madre"), compagna spirituale di Auribindo, poeta, scrittore e maestro di yoga. Auribindo si è impegnato per l’indipendenza dell'India. La città è stata disegnata dall'architetto Roger Anger. Al momento ad Auroville vivono 3300 persone

Come riportato sull’articolo comparso sulla rivista Metis Magazine  

“Il 28 febbraio 1968, i rappresentanti di 124 nazioni si sono riuniti nell’altopiano sulla costa meridionale dello Stato indiano di Tamil Nadu per trasformare in realtà un’idea fino a quel momento definita utopica e fondare Auroville. Come gesto simbolico dell’unità umana, in quell’occasione, fu versata dentro un’urna a forma di fiore di loto una manciata di terra proveniente dal proprio Paese. Il governo indiano ha sostenuto l’idea e il progetto è cresciuto al punto che la città è stata riconosciuta patrimonio dell’umanità dall’Unesco. La vita nella città è regolata dagli stessi principi che hanno ispirato il filosofo Sri Ghose Aurobindo e Mère che hanno dedicato la propria vita alla realizzazione di un progetto caratterizzato dalla ricerca spirituale e la diffusione di un pensiero che ha portato cambiamenti sociali in India. 

La città è energicamente autosufficiente, vengono riciclati quasi tutti i materiali utilizzati per i cicli produttivi della comunità e si basa sui principi dell’ecosostenibilità. È considerato luogo di accoglienza di tutte le confessioni, credenze e origini di persone provenienti da tutto il mondo e dedito alla continua formazione e ricerca rispetto la crescita spirituale personale e collettiva. Auroville si presenta in forma concentrica, suddivisa in quattro aree, la struttura architettonica è stata disegnata dall’architetto Roger Anger e segue le indicazioni dei fondatori. Nel punto centrale di Auroville sorge una costruzione di forma sferica e reticolare, il Matrimandir, simbolo di unità e luogo dedicato alla meditazione. Le aree in cui la città è suddivisa interessano le principali attività della stessa e sono: la zona residenziale, industriale, internazionale e culturale.




Nella zona residenziale sono presenti abitazioni individuali e collettive, la percentuale di superficie edificata non supera quella delle aree verdi, per cui la densità urbana è in perfetto equilibrio con la natura. Nella zona industriale sono presenti le principali attività produttive della città, ossia aziende agricole e attività artigianali. La zona internazionale ospita aree di aggregazione per residenti e visitatori. Nella zona culturale sono collocate le scuole primarie e secondarie, un centro giovanile e il Kalabhumi, ovvero un insediamento di artisti, un anfiteatro per spettacoli all’aperto, una sala concerti e un centro di produzione cinematografica.

Auroville rappresenta un progetto di vita comunitaria, oltre ad essere uno degli ecovillaggi più estesi al mondo, in cui gli abitanti hanno la possibilità di coltivare sia la dimensione spirituale che quella sociale. Pur essendoci un’area dedicata alla meditazione, non esiste una religione ufficiale, ogni cittadino è libero di professare il proprio credo. Dalla produzione agricola vengono prodotti i beni sufficienti a soddisfare le necessità dei suoi abitanti. Non esiste una moneta di scambio all’interno della realtà cittadina. Essendo, inoltre, totalmente autosufficiente dal punto di vista energetico, l’impatto ambientale è minimo. Non esiste un organo governativo all’interno della città, ma solo il Consiglio di Auroville e i Comitati di lavoro, eletti ogni 4 anni, che si occupano delle questioni amministrative più importanti. Ogni questione, inerente la vita della comunità, viene discussa durante l’Assemblea dei residenti, sede in cui è possibile avanzare anche nuove proposte.” 

Dall' articolo "AUROVILLE, L’UTOPISTICA CITTÀ SENZA GOVERNO, RELIGIONE E DENARO" di Tiziana Giannitelli 


L’utopia che diventa realtà è la speranza di tutti coloro i quali attraverso piccoli e grandi gesti o progetti sognano di rendere il mondo un posto migliore. Grazie al fotografo Marco Saroldi e all'artista ad Auroville, Dominique Jacques, la collana stART edita da Il Ciliegio, è tra gli scaffali della Libreria di Auroville. Marco e Dominique, ex vicini di casa, amici e persone speciali vivono ad Auroville dal 2014. 

I libri della collana affrontano, attraverso l’arte contemporanea, temi come la difficoltà di relazione, la diversità, la corruzione, il senso etico, la coscienza, il rispetto, nella convinzione che imparare a leggere la realtà in forma non convenzionale possa incrementare lo spirito critico delle generazioni future, guidandole nella comprensione dell’importanza del proprio contributo sociale.  

La presenza di quattro dei 13 volumi tra quelli di KNOWLEDGE Arts in un luogo come Auroville Library acquista un significato particolare. L’utopia di un mondo di armonia e bellezza, dove non esistono disuguaglianze, discriminazioni e guerre nel luogo dove tutto ciò è realtà. 

"Auroville belongs to nobody in particular. Auroville belongs to humanity as a whole."                          

Auroville non appartiene a nessuno in particolare. Auroville appartiene all'umanità intera.

Sarebbe bello se... il mondo non appartenesse a nessuno e appartenesse all’umanità intera.

stART book series at The Auroville Library in India









28/11/24

Giorni felici

 

All’inizio del 2022, nell’area milanese della Martesana, viene inaugurata una casa di riposo per anziani dal nome allettante: “GIORNI FELICI”. Il prezzo è medio-alto, ma con servizi di qualità, personale gentile e disponibile, ottima mensa, assistenza sanitaria. Tutto fila liscio fino a che, in una serena notte di fine ottobre un giovane, che abita proprio di fronte alla struttura, vede dal suo balcone una fiamma e, scrutando bene, scopre che sta bruciando un uomo

È indeciso, poi chiama la polizia, e parte subito l’indagine. Le domande sono tante: chi è quell’uomo bruciato vivo? Che cos’è accaduto? È un incidente o un omicidio? E in questo caso, chi è il responsabile? Ad una decina di metri vi è inoltre una macchia, che pare di sangue e materia grigia. Appartiene al barbone, o ad un’altra persona? Riuscirà il commissario Costa a risolvere entrambi i casi?

Ecco cosa ci ha raccontato l'autore del libro Giuseppe Carfagno: Qualche tempo fa lessi un articolo sul dirigente di una RSA arrestato per gravi reati e l’istituto da lui gestito, addirittura chiuso. Questo fatto mi colpì molto, tuttavia pensai fosse un caso raro, unico e così, essendosi ormai accesa la scintilla, mi misi a cercare articoli che parlavano di fatti simili. E anche a chiedere, tra i miei conoscenti, di parlarmi delle strutture ricettive in cui erano ospitati parenti o amici.                          

Alla fine, quando ne sapevo più di un giornalista d’inchiesta, decisi di trattare questo tema. Attenzione, non che queste dimore fossero tutte incriminabili, anzi la maggior parte erano assolutamente regolari, serie e oneste. Tuttavia in alcune c’erano cosette che non andavano. E così, prendendone a prestito una di qua e una di là, sono arrivato a metterne un po’ assieme, come le tessere di un mosaico. È intervenuta poi l’abilità dello scrittore per renderle  “verosimili”. E così ecco un romanzo pieno di colpi di scena, eventi imprevedibili, fatti inaspettati : “GIORNI FELICI”.


Biografia: Giuseppe Carfagno ha insegnato Lettere a Milano e ha sempre tenuto, oltre alle normali lezioni, corsi di scrittura creativa. Ha pubblicato più di venti romanzi con diverse case editrici. Per Il Ciliegio ha scritto: Titina, storia di un cane Nobile; Bruno, un cucciolo da salvare; Ciro, storia di un piccolo dinosauro italiano, Umberto è andato in America, L’isola dei gabbiani, Volevamo battere gli U2, I racconti del capitano e altri libri.


27/11/24

Hamelin


Hamelin ci porta a Baggio, piccolo borgo alla periferia di Milano. In un racconto dai tratti gotici, scopriamo che qualcosa sta accadendo: i ratti stanno iniziando a moltiplicarsi sempre più, invadendo non solo le strade e i campi, ma anche ogni casa e negozio. 

Giorgio Mastro, a capo della giunta, non sta prendendo provvedimenti adeguati, troppo concentrato sui propri affari e guadagni; all’evidente corruzione e indifferenza, si oppone la Dottoressa Marina Capitani. Con la comparsa del nuovo professore di musica, un uomo di cui nessuno sembra conoscere il nome o ricordarne le fattezze, verranno mescolate le carte in tavola: accettare o rifiutare la proposta di questo uomo misterioso? Ma ogni patto ha le sue condizioni che, se non rispettate, porteranno a conseguenze terribili. Dove sono finiti i bambini delle terze medie? Sarà possibile riuscire a trovarli e a riportarli a casa?

Ecco cosa ci ha raccontato l'autore del libro, Angelo Basile: "Ho svolto volontariato per oltre dieci anni in Croce Bianca Milano sezione Vialba, dalla fine degli anni ottanta ai primi del duemila, in qualità di capo servizio istruttore, fino alla nascita del mio primo bambino, quando ho preferito passare le notti con mia moglie e mio figlio anziché in strada. 

In quegli anni le ambulanze sostavano agli angoli delle vie o delle piazze per garantire la maggior copertura del territorio, diventando dei forni roventi in estate o delle celle frigorifere in inverno. Per tutto il tempo trascorso in Vialba, l’associazione è stata sul punto di chiudere i battenti per mancanza di fondi, nonostante gli sforzi dei volontari. 

Essere volontario non significava solo passare fino a dodici ore in un turno su un’ambulanza al servizio del prossimo senza essere pagato, ma contribuire anche economicamente al sostentamento dell'associazione acquistando per proprio conto per esempio le divise, le scarpe antinfortunistiche, le giacche a vento per l’inverno, provvedendo tramite raccolte fondi all’acquisto di guanti in lattice e garze, senza avere neppure un rimborso spese per i panini consumati frettolosamente sui sedili delle ambulanze, tra un “servizio”, così chiamavamo i soccorsi, e l’altro. 

L’ho sempre fatto con gioia, abbondantemente ricompensato dalle manifestazioni d’affetto e di gratitudine delle persone che aiutavo, pur consapevole della miopia delle istituzioni che nulla hanno fatto per mantenere in vita questa sezione, se non venire a bere un bicchiere di prosecco, in veste di assessori, ora di uno schieramento, ora dell’altro, offerto dai volontari durante le feste che l’associazione teneva a beneficio degli abitanti. 

Ho sentito pronunciare innumerevoli promesse di aiuto a favore dell’unica associazione di volontariato presente allora nel quartiere, mai realizzatesi. Alla fine ha chiuso, lasciando un vuoto sociale in un'altra estrema periferia urbana, il Gallaratese, in quegli anni enorme quartiere dormitorio, assediato dal degrado derivante dall’assenza di punti di aggregazione. Il mio disincanto nei confronti di certa politica che del sociale dovrebbe occuparsi e di tutt’altro invece si interessa, nasce anche da queste situazioni che ho conosciuto. 

Nel mio romanzo Hamelin stigmatizzo, esasperandone i contorni letterari, le figure di certi politicanti che dovrebbero essere i più vicini ai propri concittadini, quelli che siedono nei consigli di zona, che dovrebbero avere il polso dei quartieri dove anch’essi vivono, ma sono incapaci di vederne le esigenze o, peggio ancora, interpretano i loro ruoli per un tornaconto personale.

Tra i tanti ricordi legati a quel periodo, ce n’è uno che mi è rimasto impresso e dal quale ho tratto alcune tra le immagini più impressionanti che descrivo nel libro. Il mio equipaggio fu chiamato in piena notte per andare a soccorrere una donna incinta all’interno di un campo rom in via Triboniano, una striscia di terra all’estrema periferia di Milano, stretta tra una ferrovia e il più grande cimitero della città. 

Un vero inferno dantesco, senza elettricità e illuminazione, senza alcun tipo di servizio, dove neppure la polizia entrava, chiuso definitivamente nel 2011. L’immagine che si presentò ai miei occhi fu un vialetto sterrato d’ingresso al campo, costellato da buche grosse come crateri, ai lati del quale era ammucchiata immondizia di ogni sorta a formare un muro. I fari dell’ambulanza illuminavano, avanzando, una moltitudine di ratti che si apriva al nostro passaggio, rifugiandosi tra i cumuli di immondizia. Mi era capitato altre volte, durante il giorno, di essere chiamato a intervenire nel campo, e avevo visto bambini scalzi giocare tra quegli stessi cumuli. Topi e bambini, difficili da dimenticare.

Come sempre accade quando scrivo, le suggestioni da cui traggo ispirazione sono molteplici, e in Hamelin i corpi guizzanti di quei ratti dalle code glabre, impressi nella mia memoria, che si contendono il territorio con i bambini, riprendono vita tra le pagine e reclamano l’orrore che mi hanno destato.

Hamelin è dunque, nelle mie intenzioni, una fiaba gotica. Il gotico è un genere letterario ben preciso, secondo la cui definizione deve essere capace di suscitare paura in chi legge. Le ambientazioni sono fondamentali  e devono essere cupe, tetre e decadenti: per questo ho
dipinto a pennellate scure il quartiere dove vivo. Scene efferate, sangue, morte, elementi macabri concorrono a creare atmosfere di mistero e terrore. Nel genere gotico devono essere presenti elementi soprannaturali e il nostro maestro di musica assolve egregiamente a questo ruolo. Mi auguro di essere riuscito a confezionare una storia che rispetti questi canoni.

Detto questo, non mi resta che augurare buona lettura, sempre, qualunque storia decidiate di leggere."

Angelo Basile

Nasce a Milano nel 1972, dove frequenta il liceo classico e si diploma come infermiere. È sposato e ha due figli. Ama scrivere e navigare il mare, attività che svolge ogni volta sia gli sia possibile. Dal suo esordio nel 2016 ha scritto diversi libri e racconti, ricevendo anche premi letterari. Con Il Ciliegio Edizioni pubblica Hamelin.

26/11/24

Lo spirito infinito di Sol

 

Donna Sol Oliveira Esteves da Souza arriva in Brasile nel 1860 con la speranza di un futuro migliore, dopo un’infanzia e un’adolescenza miserrime a Lisbona. Lì riesce a costruirsi una vita diversa diventando una fazendera e affermandosi nell’esportazione di caffè e cacao. 

Alla sua morte lo spirito, finalmente libero, si immerge nello stato primordiale di natura fino a quando, vent’anni dopo, si insinua nell’anima di Marisol che è la sua bis bis nipote. La storia delle due donne si dipana lungo periodi storici differenti, Donna Sol dal 1835 fino al 1920, e Marisol dal 1940 fino al 2018, intrecciandosi continuamente.

Ma come è nato questo affascinante libro? A raccontarcelo, la sua autrice Mirella Centri: "L’idea di scrivere questo libro è nata un pomeriggio di cinque anni fa mentre ero in casa da sola, seduta in poltrona, in uno di quei momenti in cui concedevo alla fantasia di viaggiare. 

Mi corre l’obbligo, prima di andare oltre, di chiarire che tra le mie convinzioni vi è quella per la quale ognuno di noi vive più esistenze, non necessariamente nella pelle di essere umano, poiché l’uomo non è altro che una delle innumerevoli creature che esistono nell’universo, cullate dalle braccia possenti di madre natura. Esistenze delle quali non si ha memoria, e dico io, per fortuna, perché in questo modo ognuna di esse può assumere il significato dell’unicità. Ma delle quali, io credo, si mantengono sensazioni, flash, percezioni, scie, sentori che attraversano la nostra mente come meteore per poi sparire, senza lasciare il tempo di coglierle e comprenderle.

I miei passi, durante tutti questi anni e anche nella scrittura di questo romanzo come degli altri, sono stati sempre guidati dallo spirito di mia nonna paterna che è mio faro e mentore. Quando il suo cuore si è fermato io avevo quindici anni, ma il nostro dialogo non si è mai interrotto. Non pensate che io visiti medium o mi dedichi a sedute spiritiche, ascolto la voce di mia nonna semplicemente perché è dentro di me. Ognuno di noi convive, consapevolmente o inconsapevolmente, con lo spirito di una persona che ha amato particolarmente. 

Alcuni di noi riescono ancora a fermarsi e ad ascoltare ciò che vive e si manifesta nel silenzio. Io sono una di quelle persone. Lo so che quanto scrivo, a molti, può sembrare strano, ma è questo sentire che muove la mia vita. Per questo, mi è venuto naturale pensare di far narrare la storia da qualcuno che non era più in vita e che meglio avrebbe potuto descrivere il passato, il presente e  anche il futuro. Così ho preso un quaderno e la penna e ho cominciato a scrivere e quando ho finito, mi sono accorta che al di là della storia raccontata, avevo riempito pagine dedicandole alla vita infinita di ogni essere vivente e al senso di spiritualità che conduce ognuno di noi, perché ognuno di noi è parte di un universo in continuo divenire, in cui ogni creatura è un unicum.

Ho provato un immenso piacere nello scrivere “Lo spirito infinito di Sol” perché mi sono sentita Donna Sol. Non so se è quello che accade a quanti si cimentano nella scrittura, ma per me è stata un’emozione grandissima. La storia si svolge a cavallo tra Portogallo e Brasile, due paesi che conosco, soprattutto il secondo dove mi sono recata più e più volte, senza mai riuscire a scoprirlo tutto. Del Brasile mi sono innamorata a prima vista; dei suoi colori e dei suoni, della gente, quella delle grandi città e quella dei piccoli paesi persi in una natura dirompente e fantastica

Chi ha viaggiato nel continente latino americano come ho fatto io, Brasile, Cile, Perù, Messico, Colombia, Argentina, Venezuela, non può non aver sentito il senso di magia di cui quella terra è permeata e l’amore profondo e il rispetto che i suoi abitanti nutrono per la natura. Là, in quel continente, è possibile spogliarsi del pragmatismo e del materialismo per cercare di tornare a respirare l’essenza della vita

La zona del Brasile che porto nel cuore è il nord est, lo stato di Bahia la cui capitale Salvador, insieme ad altri paesi, come Itacarè ed Ilheus rappresentano i luoghi più iconici del romanzo: il verde della vegetazione padrona di quei luoghi e l’azzurro del mare prova tangibile della magnificenza della natura, sono i colori che emergono prepotenti dalle pagine del romanzo. Il mare con il quale ho un rapporto di simbiosi da quando sono bambina è l’elemento dal quale traggo ispirazione e al quale corro per cercare ristoro e pace, la sua liquidità mai immota è lo spazio infinito nel quale immergermi per poter riemergere a nuova vita. Proprio come una vera figlia di Yemanja.

Nel titolo che ho fortemente voluto è raccolta la mia interiorità. Lo spirito infinito di Sol è un romanzo al femminile, a due voci. Nel solco della letteratura latino-americana, all’interno della quale, voci e colori, realtà e immaginazione, persone e spiriti si intrecciano, questa storia comincia con la morte di una fazendera, Donna Sol Oliveira Esteves da Souza. Il suo spirito, finalmente libero, immerso nello stato primordiale di natura si insinua, molti anni dopo, nell’anima di Marisol che è la sua bis bis nipote, capace, come tutte le donne della sua famiglia, di entrare in contatto con la voce degli spiriti. Quella che per Marisol bambina è un’amica immaginaria, diventerà guida e conforto, aiutandola a scoprire la profondità dell’essere.

 

Mirella Centri


Nata nel 1962 a Cagliari, vive e lavora a Roma. Laureata in giurisprudenza con indirizzo penalistico e criminologico, e in lettere e filosofia con indirizzo storico e letterario, dopo gli inizi in ambito legale ed universitario, ha scelto di svolgere la professione di docente di scuola media superiore. Ha scritto testi scolastici di diritto ed economia per gli istituti tecnici e professionali e manuali di storia per i licei. Cultrice di storia antica e di storia medievale-rinascimentale, è appassionata di archeologia e mitologia greco romana. Alcuni viaggi in America Latina l’hanno avvicinata alla letteratura e alla spiritualità animista dei popoli di quelle terre lontane. Ha pubblicato il romanzo La linea rossa del sangue, Nolica Edizioni.


22/11/24

Il pane alle noci di Lupone

 “Lupone faceva proprio paura. Era tutto nero, con i denti lunghi e affilati, il pelo ispido, gli occhi gialli.” È proprio vero che talvolta l’apparenza inganna: Lupone ha un aspetto “decisamente temibile”, ma in realtà è gentile e generoso. 

Nel bosco in cui abita, nessuno degli animali vuole fare amicizia con lui. Nella sua solitudine, c’è una cosa che Lupone ama moltissimo fare: preparare uno squisito pane alle noci. Sarà proprio il suo delizioso pane a permettergli di farsi conoscere per quello che è, e di trascorrere uno splendido Natale in compagnia.


Ecco cosa ci ha raccontato su "Lupone" la sua autrice Giorgia Cozza.

Il pane alle noci di Lupone, una storia contro l’esclusione e i pregiudizi

"Grande, nero, con il pelo ispido e i denti aguzzi. Lupone, sin da quando era cucciolo, ha sempre avuto un aspetto temibile, ma ha un animo buono e gentile. Ora che è diventato abbastanza grande per vivere da solo si è trasferito nel bosco con la speranza di trovare tanti amici. Purtroppo però… nessuno vuole parlare con lui. Fa così tanta paura che gli animali del bosco non vogliono nemmeno conoscerlo. Quando saluta il riccio con gentilezza, il riccio si raggomitola e se ne resta lì tremante finché Lupone non si allontana. Quando indica alla volpe dove può trovare dei lamponi lei non si fida e scappa via. Quando si offre di aiutare il castoro a spostare rami per rinforzare la sua diga, il castoro si tuffa in acqua dicendo che ha già finito.

Ogni suo tentativo di chiacchierare e dare una mano risulta vano perché gli animali sono spaventati dal suo aspetto. Non lo conoscono e così non sanno che Lupone non solo è sensibile e generoso, ma mangia soltanto frutta, verdura e… pane alle noci. Lupone sa cucinare delle buonissime pagnotelle alle noci!

Questa storia racconta la solitudine e la tristezza di chi vive un’esperienza di esclusione e racconta la paura nei confronti di chi è diverso da noi, di chi non si conosce.

“Il pane alle noci di Lupone” si presta a diversi livelli di lettura: i lettori più piccini (dai due anni e mezzo circa) si affezionano agli animaletti del bosco – il riccio, la cinciarella, la volpe, il castoro – e naturalmente al buon Lupone che cucina pagnottelle.

I bambini più grandi trovano tra le righe tematiche importanti come l’accoglienza e l’ascolto dell’altro, il dolore di chi viene escluso, la fatica di superare i pregiudizi e le paure. Tematiche su cui è necessario riflettere, magari insieme a un adulto (un genitore, un nonno, una maestra), per evitare che certe dinamiche si ripetano tra i banchi di scuola facendo soffrire quei bambini e quelle bambine che non riescono a crearsi delle amicizie, che non si sentono accolti o che vengono esclusi intenzionalmente.

Nella storia si empatizza con le emozioni di Lupone per aiutare chi legge a comprendere che dietro a un saluto negato, una risposta sgarbata, un invito a giocare mancato, c’è tanta sofferenza. 

Il riccio, il castoro, la volpe si fanno influenzare dai pregiudizi, dalla paura di chi non si conosce e ci sembra diverso per aspetto, provenienza, abitudini. Capiscono di essersi sbagliati la mattina di Natale, quando trovano fuori dalla loro tana un dono da parte di Lupone, una pagnotella alle noci preparata da lui: “Forse si erano sbagliati ad aver paura di lui. Si erano spaventati per i suoi denti aguzzi e per quel pelo ispido e nero, ma Lupone non aveva mai fatto male a nessuno. Non era giusto che rimanesse solo proprio il giorno di Natale”.

Il lieto fine, legato a un gesto gentile, porta con sé un messaggio di speranza. Chi ha sbagliato può scusarsi e cercare di rimediare, chi ha subito delle ingiustizie può restare sé stesso e non perdere la propria gentilezza.

Vi saluto con un aneddoto legato alle illustrazioni di Romina Scarpanti. Dietro al personaggio di Lupone c’è stato un bel po’ di studio: non era semplice creare un lupo che corrispondesse alla descrizione fatta nel testo e avesse quindi un aspetto temibile, ma allo stesso tempo risultasse simpatico e potesse conquistare la simpatia dei lettori, senza correre il rischio di spaventare i più piccini. Il risultato a me è piaciuto molto, ora speriamo che Lupone possa trovare un posto nel cuore di tanti bambini!".


Giorgia Cozza

È una mamma-giornalista comasca che scrive saggi per genitori e fiabe per bambini. I suoi manuali (Bebè a costo zeroBenvenuto fratellino Benvenuta sorellinaMe lo leggi? e tanti altri) sono diventati un importante punto di riferimento per tante famiglie in Italia e all'estero.

Con Il Ciliegio ha pubblicato Ruffo cambia casaUn fratellino o una sorellina per Tommi, Avventura tra i ghiacci, Gino Capriccino e i calma-trucchi, Quando la mamma va al lavoro, Avventura tra i ghiacci, Santamarta Gli eredi della Terra di Altrove, Santamarta Battaglia per la Terra di Altrove, La banda delle galline ovaiole, L'uomo nero a colori, La coperta di Natale e l'ultimo arrivato: Il pane alle noci di Lupone. 

Su giorgiacozza.blogspot.it sono presenti tutti i suoi titoli.


Immagine di Lupone, nella fase di
studio del personaggio da parte di
Romina Scarpanti



Romina Scarpanti, classe 1986, vive e lavora a Pizzighettone (Cremona). Illustratrice e autrice, si diploma presso la Scuola del Fumetto di Milano e frequenta il corso di sceneggiatura dell’Accademia Disney nel 2008. In veste di disegnatrice, collabora con case editrici che si rivolgono al mondo dell’infanzia. Nel 2017 esordisce come autrice scrivendo e illustrando il romanzo per ragazzi: Taylor Tales – Senza cuore. Con Il Ciliegio ha pubblicato: La balena Gluglù e Zuccotto il re di Halloween. Mentre dell’autrice Giorgia Cozza ha illustrato: Gino Capriccino e i calma-trucchi, La banda delle galline ovaiole e L’uomo nero a colori.



31/10/24

La principessa e l'albero di cachi

 


Fin dall’infanzia la principessa Deanna viene iniziata da re Giovanni all’educazione consona per una regina e futura madre dell’erede del regno. Presto, però, la principessa scopre con fascinazione di poter comunicare con l’albero dei cachi, piantato anni prima dalla madre. Grazie a questa insolita amicizia e all’effetto magico dei frutti, Deanna comprende la sua vocazione: osservare il Creato e cantarne, accompagnata dalla lira e dalla danza. 

Ma il padre non può accettare una simile inclinazione, tanto lontana dalle aspettative di corte, e costringe la principessa a prender marito. Lontana dall’amico albero, sola e affranta, Deanna chiede alla vecchia e saggia Katrina un incantesimo che possa toglierle il dolore della rinuncia al suo destino. Ma rinnegare sé stessa ha un costo e presto tutto il regno rischierà di pagarne le conseguenze.

Ecco cosa ci ha raccontato l'autrice del libro Eleonora Mora: "Nell’autunno del 2017 vivevo in una mansarda di una frazione svizzera poco distante dal confine. Nel giardino del condominio prosperava un meraviglioso esemplare di albero di cachi, che quell’anno mi regalò uno degli spettacoli autunnali più impressionanti di sempre: tra ottobre e novembre le sue foglie si tinsero di un rosso vermiglio che riluceva tanto contro il blu del cielo che a voler fantasticare con la grazia di un bambino, si sarebbe potuto pensare che l’albero fosse fatto di fuoco.

L’anno successivo compivo i trent’anni, attraversavo cioè definitivamente la soglia d’ingresso nell’età adulta. Quel compleanno coincise, per casualità o sincronicità, con un trasloco importante, forse il più importante fino a quel momento: dopo aver trascorso un periodo estivo di ritiro presso una sciamana andina in Abruzzo, ero tornata in Svizzera con la consapevolezza che vivere a contatto con la natura avrebbe potuto accrescere le mie doti creative e immaginative. 

Per questo, lessi come un segnale (o predestinazione) l’aver trovato l’annuncio che metteva in affitto un appartamento nella Valle di Muggio, un angolo di mondo del tutto particolare, certamente solitario e immerso nei boschi, dove si respira una separatezza dal sapore avaloniano. Qui il tempo sembra essersi fermato, mentre i dolci pendii lasciano osservare atmosfere diverse a ogni stagione e con ogni condizione meteorologica, solo da chi è avvezzo a scendere o a salire.

Alla metà di ottobre cominciai a riempire le scatole per svuotare la mansarda, ma rifiutavo di muovermi prima di aver goduto un’ultima volta dello spettacolo autunnale dell’albero di cachi. Ammorbato dalle abbondanti piogge del 2018, questi scoloriva in un giallo pallido, negandomi il piacere di rivedere i colori dell’anno prima. Così una fantasia mi indusse a credere che l’albero volesse in qualche modo trattenermi e che il mio amore nei suoi riguardi fosse in qualche misterioso modo ricambiato. Pensavo come una visionaria e quello divenne il tema cardine della favola che poi, una volta arrivata in valle e circondata dai bramiti dei cervi nella stagione degli amori, sgorgò dalla penna e sulla tastiera come una corrente incontenibile, l’urgenza di dare voce a ciò che non sapevo di avere dentro.

Il percorso di vita compiuto fino a quel momento e le occasioni introspettive che avevo cercato tramite la psicanalisi, l’arteterapia, lo sciamanesimo e svariate letture sul tema, avevano concimato il terreno interiore e piantato dei semi che finalmente, dopo anni, vedevo germogliare con una prepotenza che non avrei immaginato. Improvvisamente la vicenda della Principessa Deanna travolse e totalizzò le mie giornate, rubandomi il tempo che avrei dovuto dedicare al lavoro d’ufficio, come pure quello per mangiare e per dormire. 

Nulla aveva più importanza che seguire la vicenda di quell’amore bizzarro tra una fanciulla in cerca della propria identità e un albero magico, nulla mi rendeva più felice di dipingere con le parole la bellezza che avevo intorno e che divenne lo scenario fantastico in cui Deanna muove i propri passi. Tuttavia, man mano che le parole s’infittivano, la vicenda assumeva tinte sempre più cupe sotto la patina fiabesca e a tratti disneiana. In breve mi accorsi che il modo in cui stavo tratteggiando i personaggi e i fatti del racconto celava l’utilizzo catartico e terapeutico di una scrittura votata alla rielaborazione di temi più profondi, come la formazione dell’identità, il legame tra genitori e figli, le pressioni sociali e l’emarginazione.

Così, quasi senza volerlo, sciolsi ne La principessa e l’albero di cachi tutti i nodi interiori che stavo tentando di sbrogliare. Alla domanda se il testo sia autobiografico rispondo sempre che non ne esiste uno che non lo sia: spesso arrivo a credere che persino la lista della spesa ci rappresenti profondamente.

Ma forse tale rappresentanza è meglio riposta in ciò che facciamo (scriviamo, dipingiamo, diciamo, pensiamo, mangiamo) senza il massiccio e invasivo intervento della mente: proprio in questo modo è nata La principessa e l’albero di cachi, una storia trascinata sulla carta da una trance che mi ha aiutata a epurare le diverse sofferenze interiori affrontate nel corso degli anni. 

Quando cerco di afferrare il reale nucleo tematico del racconto penso sempre al finale. A questo si giunge seguendo un percorso che attraversa tutti gli stadi evolutivi della crescita, dalla dolcezza e ingenuità dell’infanzia, fino al conflitto dell’adolescenza, per sfociare in una maturazione che tuttavia non porta saggezza e risoluzione, bensì, al contrario, diniego e rancore. Un finale, insomma, molto distante dalle favole Disney, che pure tanta parte hanno avuto nel processo di concimazione interiore. Un finale dolce-amaro, a tratti drammatico, come dolce-amara e drammatica è la vita. 

E dunque il quesito fondamentale del racconto può essere questo: dove conduce il dolore, se non correttamente elaborato, accolto e integrato? 

E ancora: quali sono le ragioni del dolore, chi considerare come responsabile della sua comparsa?

Con i toni archetipici, sfumati e rarefatti della fiaba, La principessa e l’albero di cachi affronta implicitamente del sentimento dell’outsider, delle pressioni sociali e genitoriali che spesso plasmano la crescita di un giovane e di come nasca il conflitto quando le pulsioni interiori non seguono la direzione auspicata da altri. Se non risolto, questo conflitto può rivelarsi fatale.

Ma La principessa e l’albero di cachi parla anche di molto altro: delle donne e delle loro ciclicità, delle relazioni, delle svariate forme che l’amore può assumere, di riscatto e memoria, di ciò che lasciamo dietro di noi dopo la nostra scomparsa.

Intenso, commovente, immaginifico, La principessa e l’albero di cachi è un racconto che non dice bugie, che parla di fallimenti, vizi, ipocrisie, incomprensioni e condanne, così come di violenza, di amore, ispirazione, ma anche di obbedienza, emarginazione, diniego, perdizione e abbandono. 

È favola, ma anche allegoria; è sorrisi e anche lacrime; è leggerezza e sguardo nell’abisso.


Eleonora Mora


Nata a Lecco nel 1988, è arteterapista, scrittrice e pittrice autodidatta. Dopo un’infanzia trascorsa tra Lombardia, Toscana e Sardegna, oggi vive nel Canton Ticino dove conduce laboratori artistici. La sua scrittura risente di una profonda indagine evolutiva che l’ha condotta a sperimentare diversi approcci, dalla psicanalisi all’arteterapia, fino allo sciamanesimo. È autrice di carnet di viaggio, di racconti e di fiabe per bambini e giovani adulti.






30/10/24

I campioni dell'Inferno

Nel 110 d.C., il Grande Anno, si compie il volgersi del ciclo cosmico che ha visto, in tempi remoti, la divisione dell’Universo tra Zeus, Poseidone e Ade. Le Potenze tengono convegno: come assegnare nuovamente i rispettivi reami, i cieli, i mari, l’oltretomba? 

Per evitare una guerra cosmica, i tre dei decidono di affidare le loro sorti ad altrettanti campioni, scelti a caso fra gli uomini che in quel momento vengono uccisi fra le tante arene dell’Impero. Il vincitore potrà tornare in vita. Prescelti per questa missione soprannaturale sono il gladiatore Cassio, il giovane Candido e il bandito Zabdas. Giunti nello spaventevole Oltretomba, i tre apprendono i termini del patto, tornano temporaneamente sulla terra e si preparano allo scontro.

Ecco cosa ci ha raccontato l'autore del libro, Andrea Gualchierotti, a proposito della sua opera: "Un protagonista in grossi guai, finito in un vicolo cieco. La prospettiva di un’unica via d’uscita, che però porterà probabilmente a ficcarsi in una situazione anche peggiore. Amici di cui non è saggio fidarsi, e nemici apparentemente invincibili. Chi legge molto, o è appassionato di cinema lo sa: questo è il canovaccio vincente di molti film d’azione e di romanzi d’avventura, pensato appositamente per trascinare il lettore nel bel mezzo di una storia dove la tensione è fin dall’inizio già al massimo. E dove il finale è tutto meno che scontato.

Ma se questo non vi basta, e volete rendere il cocktail ancor più gustoso, aggiungete in libertà: gladiatori in cerca di vendetta, antiche divinità manipolatrici e lo scenario di una cupa Roma imperiale, dove il fato si compie in arene stracolme di folla urlante.

Ecco, in breve, il succo de “I campioni dell’inferno”, un romanzo che se per un verso è affine alla mia produzione precedente (di nuovo, l’ambientazione è ripresa dal mondo antico), per altri è molto diverso, e a farla da padrone è l’azione mozzafiato. I protagonisti infatti - Cassio, Candido e Zabdas - sono tre reietti che hanno già perso tutto: il primo è un gladiatore ormai maturo, un campione all’inizio del declino. 

L’altro è un giovane giocatore d’azzardo, condannato a morte per debiti. Mentre Zabdas è un bandito con mille condanne sul collo. E tutti loro, all’inizio della vicenda, fanno una brutta fine nell’arena. Se però mi avete seguito fin qui, avrete già capito che questa è tutt’altro che una fine improvvisa.

In realtà, il trio è stato scelto dagli dèi per dirimere una loro contesa riguardante il dominio del cosmo, e agli sfortunati protagonisti è proposta la classica offerta che non si può rifiutare: essere il campione del proprio patrono divino, oppure precipitare nell’Ade. Non è difficile immaginarne la risposta, no?

Ecco così che si apre per loro un cammino fatto di prove e insidie, di avventure in un fosco oltretomba che richiama gli antichi miti, costellato di sanguinosi combattimenti e dominato dall’incertezza sull’esito finale della loro gara: un solo vincitore è ammesso, uno solo potrà, infine, ricevere il premio promesso, ovvero tornare in vita. Era da tempo che volevo immergermi (e con me, i lettori) nel mondo pittoresco dei gladiatori.

Una realtà lontanissima dalla nostra sensibilità, e che pure risulta affascinante nonostante i suoi lati torbidi e sanguinosi. Un mondo dove la vita era messa in gioco ogni giorno per il divertimento popolare, in cui lo spargimento di sangue era qualcosa su cui scommettere, e dove folle di decine di migliaia di persone si riunivano per assistere allo spettacolo delle condanne a morte.

Uno scenario in cui non è stato difficile ambientare una vicenda su cui incombe il mistero, e nella quale gli dèi - ambigui, spietati -  fanno a loro volta delle vite dei mortali un gioco. Ho dovuto perciò studiare a fondo quel mondo, documentarmi su più di un testo specialistico, e visitare molti dei luoghi descritti nel romanzo: il Colosseo, ovviamente, ma anche il Ludus Magnus, la più grande caserma di gladiatori mai esistita, gli anfiteatri di Pompei, Luni e altri sparsi in Italia e all’estero. Ho inteso ricreare una atmosfera rutilante e sanguigna, un vero e proprio viaggio nel passato.

Non è mancato, in questo, il lavoro per creare protagonisti e situazioni che corrispondessero a quei tempi: il modo di pensare, di vivere i sentimenti ed esprimerli era molto diverso. Giusto e sbagliato avevano significati molto, molto lontani da quelli della nostra epoca. Uccidere era concesso, vendicarsi un dovere. Letteralmente, quello de “I campioni dell’inferno”, è un altro mondo. Eppure, proprio quelle sono le nostre radici.

Come sempre, nello scrivere questo che è ormai il mio quinto romanzo sotto il marchio de Il Ciliegio, mi sono rivolto ai miei modelli d’elezione. Chi mi ha già letto, sa che Robert E. Howard, papà di Conan il Cimmero, è il mio grande punto di riferimento. Ma per una storia come quella che spero leggerete, stavolta avevo bisogno anche di una ispirazione differente. 

Ho così provato a rubare un pizzico delle atmosfere ciniche e nere di Jim Thompson, altro grande autore statunitense, specializzato in thriller. Fra le sue pagine si trovano molti protagonisti dalla moralità grigia, a volte esplicitamente negativa, ed era proprio quello che ci voleva per descrivere uomini come Cassio, Candido e Zabdas, abituati a compromessi anche ignobili, a perseguire il proprio interesse senza rimorsi, e di cui non è mai bene fidarsi del tutto.

Se quindi vi piacciono le storie di spada e stregoneria, le glorie e le ombre del mondo antico, e non temete di farvi male calcando la sabbia dell’arena, credo proprio che “I campioni dell’Inferno” faccia al caso vostro. In fondo, si tratta solo di scommettere la propria vita sul filo della lama. Facile, no?


Andrea Gualchierotti

Andrea Gualchierotti vive e lavora in provincia di Roma. Già autore per Il Ciliegio, insieme a Lorenzo Camerini, dei due volumi della saga di Atlantide (Gli Eredi di Atlantide e Le guerre delle Piramidi), nei suoi lavori ama miscelare il gusto per gli scenari esotici con il fascino del mondo antico. Ha pubblicato vari racconti a tema fantastico e collabora con l’associazione “Italian Sword & Sorcery”.



Una giornata gentile

 

“Tra poco festeggeremo la giornata mondiale della gentilezza. Come compito a casa, scriviamo un gesto gentile che ognuno di noi può fare.” Beatrice ha sette anni e la maestra ha chiesto a lei e ai suoi compagni di scrivere ciò che per loro è un gesto gentile. 

La bambina allora ripensa alla sua giornata: è andata a scuola, ha trascorso la mattinata in classe, il pomeriggio al parco giochi e poi a fare la spesa con papà… Quante volte ha incontrato la gentilezza?

Ecco cosa ci ha raccontato l'autrice del libro, Elisa Vincenzi, sulla nascita e sul perché è nato questo bellissimo libro illustrato: "L’idea di scrivere un libro sulla gentilezza è nata un po’ di tempo fa, da una chiacchierata con Giovanna Mancini, l’editrice de Il Ciliegio.

Ricordo che ci siamo incontrate a una fiera del libro e tra una riflessione e l’altra, si parlava di come al giorno d’oggi si faccia un gran discutere in ogni dove della gentilezza e dell’accoglienza, ma di come poi spesso nella quotidianità questi concetti tendano a restare astratti.

A volte basta portare la spesa a qualcuno in difficoltà o evitare di lasciar sbattere una porta dietro di sé, accertandosi che non ci sia nessuno dietro, o anche solo augurare il buongiorno… sono tanti i piccoli gesti che ognuno di noi può compiere per migliorare la giornata a un’altra persona.

Ecco quindi che mi è arrivata, chiara e nitida, l’idea per il racconto e di conseguenza per il titolo: “Una giornata gentile”. Avrei raccontato di una giornata tipo, caratterizzata dai rituali del mattino, fino al giungere della sera, di una bambina come tante.

Ecco che quindi salutare la vicina di casa o prestare il pastello giallo alla compagna di banco, sono gesti gentili, così come tenere pulito il parco giochi o cedere il posto a una signora alla cassa del supermercato, durante la spesa con il papà.

La protagonista del racconto ripensa poi a tutte queste azioni per decidere quale inserire nel compito per la scuola, dato che si avvicina la giornata mondiale dedicata proprio alla gentilezza.

Le illustrazioni, dal tratto fresco e brillante, sono state realizzate dalla bravissima Luisa Scopigno, con la quale avevo già avuto modo di collaborare in occasione di altri progetti.

Elisa Vincenzi, autrice, vive e lavora in provincia di Brescia. Laureata in Scienze dell’Educazione, si specializza in Musicoterapia e in Propedeutica musicale (Metodo Ritmìa).Per Il Ciliegio ha pubblicato: La rana Luisa, Mino moscerino cantante, Agatino, Il silenzio cos’è?, Ma è tutto sbagliato!, Amelia e la fiducia, Oltre le nuvole, In giardino cosa c’è?, Il vento a metà, Crocotì, Un nido, Dove sei?, La bambina che scatenava uragani, GiroGiroMammatondo, Come si fa?, Che disordine Andrea!, Due case per me, Una tazza di tè, Capitano Bagnato e Mi sono davvero offesa!.

Luisa Scopigno è nata a Firenze, dove ha frequentato la Scuola Internazionale di Comics. È un’illustratrice specializzata in libri per bambini ed è stata selezionata in diversi concorsi, tra cui “Un prato di fiabe”, promosso dall’associazione culturale Marginalia. Ha realizzato le illustrazioni per la favola Il nibbio che nitriva, pubblicata dall’istituto didattico C.R.E.D. di Firenze, e per Mamma ti aspetto (La strada per Babilonia). Ha realizzato il palio per la Giostra dell’Orso di Pistoia, evento folkloristico della città in cui vive. Per Il Ciliegio ha illustrato Mi sono davvero offesa! e ABC di musica e fantasia.

28/10/24

La Bambina Camaleonte

 


Di cosa parlerà questa dolcissima storia? A raccontarcelo, la sua autrice Elena Bonetti: "La bambina camaleonte Virginia è una teiera, un fiore, è Miriam perché lei sa come si coltiva l’orto e poi Andrea per accaparrarsi dei biscotti. 

Virginia è talmente brava a copiare i colori degli altri per essere sicura di “fare bene” che ad un certo punto non sa più quali sono i suoi. Senso di inadeguatezza, paura del rifiuto e del confronto spingeranno Virginia a più di mille trasformazioni, proprio come un camaleonte. 

Quante volte ci capita o ci è capitato di essere un camaleonte mimetizzandoci perché non ci sentiamo adeguati alla situazione? 

L'ispirazione per scrivere questa storia mi è arrivata durante i miei laboratori di teatro e inglese dove mi sono accorta di una bambina che, pur di essere elogiata e presa in considerazione, si comportava in modi totalmente lontani dal suo modo di essere, cercando continuamente lo sguardo dell’adulto di riferimento prima di rispondere o muoversi in un certo modo. 

La volete sapere una curiosità? Quando mi sento triste e abbattuta, quando non riesco a ottenere certi obiettivi o mi sento “sbagliata” rispetto al mondo che mi circonda, penso a Virginia. In un mondo in cui i filtri social e l’omologazione dilaga, penso sia importante cercare di conservare i propri colori, le proprie caratteristiche condite di pregi e difetti.


Elena Bonetti è un’attrice bergamasca con laurea in Lingue e Letterature straniere. Scrive e partecipa agli spettacoli in italiano e plurilingue de “Il Divano delle Favole”, in cui le fiabe e le favole costituiscono il ponte tra la realtà e la finzione scenica. Conduce laboratori anche in inglese, tedesco e francese, servendosi del gioco teatrale come strumento ludico di apprendimento. Ama leggere e passeggiare con la sua cagnolona Gretel, osservando le persone per arricchire il suo “baule dei personaggi”.

Albertina Neri, diplomata alla Scuola del Fumetto di Milano, lavora come illustratrice e grafica in provincia di Como. Adora da sempre disegnare e insegnare i trucchi del suo mestiere ai bambini. Crede nelle storie divertenti e con un pizzico di magia. Per Il Ciliegio ha scritto Lo squalo senza denti e illustrato diversi testi, tra cui: La rana Luisa, C'era una volta un fiore, Principessa Carotina, La bambina che si rosicchiava sempre le unghie e Petunia.
 

24/10/24

Sam Paprika e il luogo innominabile


Una notte, uno stormo di ombre nere sorvola i cieli della cittadina di Vercamor, per poi dileguarsi in pochi istanti. Realtà o allucinazione? Da una vecchia macchina fotografica, che rivelerà uno straordinario potere, inizia l’avventura di Sam Paprika alla ricerca di Oscar Ombralong, praticante dell’occulto. Un viaggio che lo porterà in un luogo che nessuno osa più nominare, ma che nasconde un terribile segreto: l’isola di Povilia.

Ecco cosa ci ha raccontato la sua autrice Chiara Taormina: "Sam Paprika e il luogo  innominabile è stato da subito uno dei libri che ho amato di più e che ho scritto davvero con entusiasmo. La storia, seppure tetra e misteriosa, affonda le radici nella vicenda storica di un'isola vicino Venezia: l'isola di Poveglia. 

Ma su questo non voglio aggiungere altro per evitare inutili anticipazioni ai miei lettori, invece, voglio presentarvi Sam, questo ragazzino tredicenne che ha un coraggio incredibile, che ama aiutare i più deboli, è molto generoso, ma soprattutto ama fare fotografie in mezzo alla natura. 

È un esempio super positivo per tanti adolescenti che potrebbero rispecchiarsi in lui, trovando nei loro cuori tante qualità simili a quelle del nostro protagonista. La cosa più incredibile di questo ragazzo è appunto la voglia di aiutare chi si trova in difficoltà, così in questa sua avventura troverà sempre il modo di mettersi in gioco con astuzia e determinazione. 

Fedele compagna di peripezie è Penelope, la sua amata e vecchia macchina fotografica che saprà stupire il lettore. Che dire? Questo libro per me merita e spero possa incuriosire tantissimi ragazzi e adulti per scoprire i misteri del luogo innominabile. Aspetto tante  recensioni.  A presto e grazie!"


Chiara Taormina è nata a Palermo, dove risiede. Appassionata di arte e cultura orientale, si diletta anche nella composizione di haiku. Ha ottenuto premi e menzioni in diversi concorsi letterari, nazionali e internazionali. Con Il Ciliegio ha pubblicato Cammy e il tempio del sole (2013), Zeus e la sua magica avventura (2014), Cammy e i pirati dell’ovest (2016), Ruggero e la macchina del tempo, con la speciale prefazione di Luis Sepúlveda (2017), Samson, il cavallo aborigeno (2020).

30/09/24

 

Può un padre continuare a vivere quando scopre di essere la causa della morte del suo unico figlio? Un uomo dal potere straordinario, in grado di ‘leggere’ negli altri il loro essere più vero e profondo, si materializza all’interno di un passante ferroviario della periferia milanese. 

Per vivere vende storie che scrive osservando i passanti umani e, su richiesta, storie personalizzate come ritratti. Storie che provocano reazioni contrastanti insospettabili. Ma chi è lo Scribastorie? E qual è la sua storia? Un romanzo dove si svelano tante verità, su tutte la difficoltà a essere veri genitori.

Ecco cosa ci ha raccontato l'autrice Maria Antonietta Montella sul suo libro: "Cos’è l’effetto Tunnel? È la capacità che hanno gli oggetti di attraversare barriere altrimenti impenetrabili. A credere alla fisica classica questa capacità non può esistere, in realtà c’è una infinitesimale probabilità che succeda. Che si possa passare un tunnel immaginario che permetta di attraversare qualunque barriera. 

Questo per le cose, e per i viventi? Se all’interno di un buco nero si può arrivare a toccare il fondo, cosa succede se lo superi quel fondo? Torni indietro e sei un altro? È possibile. Per Franco, lo Scribastorie, lo è stato. Si è nascosto in un tunnel reale di un passante ferroviario nella periferia milanese. In mezz’ora ha lasciato la vita di prima e l’ansia di fare le cose nel modo migliore. Credeva di essere esente dallo sbaglio invece nessuno lo è. Era un idiota e non lo sapeva. Adesso pagherà per quello sbaglio.

E ora cosa fa, come mangia, dove si ripara? Dorme in una capanna che si è fatta in un boschetto e vende storie che scrive sui passanti affidandosi al buon cuore degli acquirenti. Storie che colpiscono a tal punto i lettori che richiedono approfondimenti personali. Il primo cliente che chiede una storia su di sé è una donna (e ti pareva?) a cui lo Scribastorie sarà sempre riconoscente. 

Seguiranno altre storie che sveleranno ai protagonisti la propria vera natura, ma che la maggior parte si rifiuterà di accettare. C’è il pubblicitario famoso, la donna arrabbiata col mondo, il giovane clandestino, il disoccupato, l’adultera, il vecchio sporcaccione e altre figure che non sono così come appaiono e soprattutto come si credono.

Nessuno conosce lo Scribastorie. Lui non racconta niente di sé. Il suo aspetto distinto è alieno per quel luogo: i clochard non lo riconoscono come simile e i viaggiatori neppure. I personaggi coinvolti nella sua antologia sono diciassette più due che si inseriscono loro malgrado. Nell’insieme rappresentano un campionario umano vario e insolito. Riconoscibile solo dallo Scribastorie, a cui questi esseri parlano mentalmente. È penetrato in loro attraverso lo sguardo, e li fa parlare con tono sincero, disincantato, senza pietismi. 

Bisogna togliere, eliminare scorie di vanità sempre presenti. Alcuni si spaventano, altri si arrabbiano, altri lo abbracciano, uno gli getta la sua storia in faccia. Poi tornano, piangono e ringraziano.Tra i personaggi principali ci sono anche i componenti di una famiglia invidiata, bella, ricca. Perfetta agli occhi del mondo. Il padre alla ricerca del successo come interpretazione della vita e premiato su quel palcoscenico. Che regala oggetti non richiesti invece del proprio tempo. Che pensa di essere nel giusto, assicurando esclusivamente il benessere economico della prole. La madre innamorata del marito inarrivabile, e il loro bambino, troppo sensibile e intelligente, che fa domande filosofiche a cui non seguono risposte. Ma l’algoritmo non ha sempre ragione. Un incidente mortale è il ‘grumo’ della storia.

Il ‘dono’ è in realtà una condanna. Un libro che affanna e rivela. Che può addirittura far piangere come nell’ultima storia, la diciassettesima. Sembra incredibile ma è tutto vero. Lo Scribastorie è un assurdo viaggio alla comprensione di sé che arriva troppo tardi. Come è nato questo libro? Qui rispondo io, l’autrice: da una scarpa. Una scarpa infantile finita nello scolatoio al lato della strada. L’unico elemento sfuggito nella constatazione di un incidente. 

Non so perché l’ho notata con attenzione, mi sono addirittura fermata per vedere se c’erano macchie di sangue. Altre volte mi ero ritrovata alla presenza di cascami di incidenti, ma li avevo superati in fretta, senza pensarci. Quella scarpina è tornata a visitarmi più volte nella giornata e poi nel sonno. Cosa voleva dirmi? Perché ero diventata così sensibile? Nella notte inquieta ho trovato la risposta: era la mia recente ‘nonnitudine’.

Due anni prima, mi avevano regalato un nipote che non speravo più di avere. Mi stupivo di quanto fosse innamorato del padre: lo guardava estasiato come una divinità. Se lo meritava tutto quell’affetto, il genitore? Ho pensato a una perdita, e ogni volta che ricordo sto male. Dovevo scrivere per lanciare un appello: non perdete tempo, state vicino ai vostri bambini, considerateli, imparate da loro. Tutto il resto è tempo perso. I figli sono la parte migliore di noi. Spero che questo libro aiuti, mi basta convincere anche una sola persona. 

Come è nato Franco, lo Scribastorie? Dalla conoscenza diretta di vari manager, tutti stressati per la fortissima pressione su numeri e controllo di gestione. Tutti con un’altissima specializzazione e una giornata piena di riunioni con diversi clienti. Una sfida continua dura e stressante. Certo fanno carriera e ricevono alte retribuzioni, ma ne vale la pena? Nel fine settimana dormono, me l’hanno confessato. Non è vita. Soprattutto che vita possono regalare alla famiglia se il sacrificio di tempo richiesto dal lavoro è totale? Si ritrovano figli bambini che diventano adulti a loro insaputa, che li giudicano e condannano.

Per le storie dei viaggiatori invece mi sono basata sui miei viaggi in metropolitana. Non uso l’auto e osservo. Tanto. Per il titolo, invece, mi sono lasciata affascinare da questa figura: fin dall’antichità gli scriba erano persone speciali che conoscevano l’importanza di comunicare scrivendo a mano, e per custodire la verità. Lo Scribastorie fa tutto questo, ma non custodisce, dispensa verità.

Per la copertina sono bastate due foto e la lettura del libro perché la bravissima Stefania Tartini creasse l’illustrazione-simbolo della storia. Il tunnel reale dove si è rifugiato lo Scribastorie e il cielo sullo sfondo che si sta liberando dalle nuvole con la forza di una luce soprannaturale. Per la sequenza dei capitoli, devo un ringraziamento all’editor Giulia Galvani che ha mescolato un po’ le carte.


Maria Antonietta Montella



Toscana di nascita, laurea in sociologia a Firenze, intera carriera lavorativa a Milano nel settore comunicazione di una grande azienda internazionale. Quindi il ritorno in Toscana per dedicarsi alle vere passioni: leggere, leggere, leggere, e scrivere. All’attivo otto pubblicazioni. Le ultime con Ultra Edizioni, Cuochi a prescindere e Groupie per sempre.